Ars Medica

L’arte dei medicamenta a Roma ed a Pompei, tra scienza e pratica magica

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Questo articolo è apparso anche in Zetesis 1 - 2003

 

Introduzione: i primordi dell'Ars Medica in Grecia ed a Roma

L’abitudine all’impiego usuale di profumi ed unguenti per l’ornamento e la cura del corpo si diffuse nel mondo occidentale sicuramente provenendo da Oriente, grazie all’opera di conquista ed ai contatti commerciali.

La disciplina orientale assegnava originariamente ad ogni parte del corpo uno specifico profumo e come tale, con nome di “iatroleptia”, fu introdotta in Occidente da Prodico di Selymbia, che forse fu il maestro del medico Ippocrate, stando alle parole di Plinio (N.H. 29,2):

XXIX, II. Sequentia eius, mirum dictu, in nocte densissima latuere usque ad Peloponnesiacum bellum. Tunc eam reuocauit in lucem Hippocrates, genitus in insula Coo, in primis clara ac ualida et Aesculapio dicata. Is, cum fuisset mos liberatos morbis scribere in templo eius dei quid auxiliatum esset ut postea similitudo proficeret, exscripsisse ea traditur atque, ut Varro apud nos credit, templo cremato is instituisse medicinam hanc quae clinice uocatur. Nec fuit postea quaestus modus, quoniam Prodicus, Selymbriae natus, e discipulis eius instituit quam uocant iatralipticen et unctoribus; quoque medicorum ac mediastinis uectigal inuenit.

In Grecia l’arte dell’ornamento non tardò a diffondersi ampiamente, includendo nel termine kosmesis la raffinatezza sia intellettuale e spirituale che puramente esteriore.

Il passaggio di tale disciplina dalla Grecia a Roma, per quanto osteggiata (anche attraverso leggi apposite, come vedremo in seguito) da un certo ambiente culturale che non vedeva di buon occhio la contaminazione dei valori della romanità più pura da parte delle correnti di pensiero elleniche, non dovette essere particolarmente difficile: molti erano infatti i medici che, provenendo appunto dall’Ellade, esercitavano la propria professione nell’Urbe; fra i molti possiamo citare Dioscoride di Anazarba in Cilicia, che introdusse procedimenti simili alla distillazione per la produzione di oli essenziali e scrisse anche una vastissima Materia Medica, di cui riportiamo l’incipit.

Un altro esperto nella tecnica di preparazione di unguenti e medicamenti fu Scribonio Largo, vissuto nella capitale durante il regno dell’imperatore Claudio (41-54 d.C.), che ebbe anche l’onore di accompagnare in occasione della sua spedizione in Britannia: la sua opera principale fu un ricettario, noto come Compositiones Medicamentorum, composto grazie appunto all’esperienza maturata durante i suoi viaggi ed i suoi incontri con le popolazioni locali e le loro tradizioni in materia di rimedi e medicamenti. Ne riportiamo l’incipit:

SCRIBONIVS LARGVS CALLISTO SVO SALVTEM. Inter maximos quondam habitus medicos Herophilus, Cai Iuli Calliste, fertur dixisse medicamenta divum manus esse, et non sine ratione, ut mea fert opinio: prorsus enim quod tactus divinus efficere potest, id praestant medicamenta usu experientia que probata.

Fra le ricette proposte – quelle strettamente mediche sono quasi sempre pervase di espedienti di magia e di inverosimili credenze popolari – alcune risultano particolarmente interessanti: Scribonio parla ad esempio della pasta dentifricia, introdotta, a suo dire, dalla sorella di Augusto, Ottavia, e formata da una sapiente miscela di nardo celtico e polvere di vetro finissimamente tritata (Comp. Med. LIX).

LIX. Dentifricium, quod splendidos facit dentes et confirmat: farinae hordeaciae sextarium conspargere oportet aceto cum melle  mixto et subigere diutius atque ita in globulos dividere sex; quibus dilatatis admiscere salis fossicii semunciam, deinde furno coquere, donec in carbonem redigantur.

 tunc terere oportebit eos globulos et admiscere spicae nardi quod satis videbitur ad odorem faciundum; hoc Octavia Augusti soror usa est.

Un altro tipo di dentifricio, sempre secondo Scribonio, fu poi proposto da Messalina:

LX. Ad dentium candorem et confirmationem bene facit radicis edulis cortex sole arefacta et contusa, cribrata; item vitrum candidum, quod simile crystallo est, diligenter tritum admixta spica nardi.

 utuntur plerique etiam huiusmodi dentifricio: herbam urceolarem legunt, cum iam in semine est, quam plurimam cum radice, deinde lotam uno die siccant, postridie recenti muria dura macerant, tertio die expressam olla nova componunt, subinde salis fossicii quasi tabulata interponunt atque ita percoquunt fornace balneariorum, donec in carbonem redigantur.

 postea tritae ad tertias admiscent spicae nardi quod satis est.

 hoc cum eo, quod candidos facit dentes, tum etiam confirmat. Augustam constat hoc usam.

 nam Messalina dei nostri Caesaris hoc utitur: cornorum cervi ustorum in olla nova et ad cinerem redactorum sextarium unum,  masticis Chiae pondo unciam, salis ammoniaci pondo sescunciam.

A Roma, la via dei Profumieri, dove farsi preparare una delle tante ricette proposte da Dioscoride o da Scribonio oppure trovare uno dei tanti medicamenta suggeriti dal naturalista Plinio, era per eccellenza il Vicus Turarius, dove confluivano i migliori prodotti, le spezie e gli unguenti provenienti dai lontani mercati d’Oriente per la cosmesi di facoltose nobildonne e ricchi signori.

Nella Roma imperiale, inoltre, i profumieri erano riuniti in una vera e propria corporazione, il Collegium Aromatarium – di cui parleremo a proposito di un manifesto elettorale ritrovato a Pompei – e, oltre ad occupare il suddetto Vicus Turarius, possedevano botteghe (tabernae ed officinae) anche nel Vicus Unguentarius al Velabro.

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