L'Ars Medica a Pompei

   

   Un capitolo a parte nell’arte di profumi ed unguenti merita Pompei, che, prima di essere sepolta sotto un manto di lava nell’eruzione del 79 d.C., aveva raggiunto vertici davvero elevati in questo campo.

I centri di maggior rilievo dell’industria profumiera della Campania erano a quel tempo senza dubbio Napoli e Capua, ma il buon numero di tabernae e di officinae scoperte nella cittadina distrutta ed al contempo preservata dalla lava testimoniano il ruolo non modesto che Pompei ebbe a svolgere nello sviluppo di questa ars.

L’attività degli unguentarii a Pompei ci è rivelata ad esempio da un manifesto elettorale che recita:

MODESTUM – AED UNGUENTARII ET PAUPERES FACITE

Evidentemente la corporazione dei profumieri appoggiava la candidatura ad edile di questo Modesto, assieme ai poveri. Ma questo manifesto non è un caso isolato e siamo confortati anche da numerose altre fonti epigrafiche: apprendiamo così – eternati dalla tragica eruzione che congelò la vita della città campana – i nomi di M. Decidio Fausto e di Febo, unguentarii, e di Felicione, probabilmente erborista.

Quest’ultimo, in base a quanto è stato possibile ricostruire, si occupava forse della vendita di lupini, erbe ed altri tipi di legumi che venivano comunemente impiegati nella preparazione di maschere di bellezza per signore, quali quelle di cui parla per esempio il poeta Ovidio nei suoi Medicamina Faciei (vv 69 – 83)

Nec tu pallentes dubita torrere lupinos

et simul inflantes corpora frige fabas:

utraque sex habeant aequo discrimine libras,

utraque da pigris comminuenda molis;

nec cerussa tibi nec nitri spuma rubentis

desit et Illyrica quae uenit iris humo:

da ualidis iuuenum pariter subigenda lacertis

(sed iustum tritis uncia pondus erit).

Addita de querulo uolucrum medicamina nido

ore fugant maculas: alcyonea uocant.

Pondere si quaeris quo sim contentus in illis,

quod trahit in partes uncia secta duas.

Vt coeant apteque lini per corpora possint,

adice de flauis Attica mella fauis.

Quamuis tura deos irataque numina placent,

non tamen accensis omnia danda focis.

La bottega di Felicione, in base alla ricostruzione archeologica, si trovava forse in un quartiere popolare; viceversa, quelle dei citati Fausto e Febo dovevano essere collocate nel cuore del quartiere commerciale di Pompei.

Anche gli affreschi parietali ci permettono di integrare le nostre conoscenze in merito all’arte dei profumieri: esemplare in questo senso è lo spaccato dell’interno di una tipica taberna di unguentarius che ci offre l’affresco del triclinio della cosiddetta Casa dei Vettii, databile attorno al 60 d.C.

In tale dipinto, una serie di amorini alati sono ritratti mentre sono intenti alla preparazione di un profumo e li possiamo ammirare mentre armeggiano alla spremitura dell’olio e mentre macerano le piante aromatiche da aggiungere alla base densa ed oleosa. Accanto a loro giacciono un ricettario, una bilancia e tutti i ferri del mestiere di un profumiere, fra tutti bottiglie ed ampolle in abbondanza. Dall’affresco desumiamo anche che, in base alla collocazione degli strumenti di preparazione accanto alle ampolle ed ai vasi già pronti per la vendita, con ogni probabilità nelle officinae l’attività lavorativa veniva organizzata in modo tale che produzione e vendita dei profumi avvenissero nello stesso luogo.

Anche i vasi per la conservazione di unguenta e medicamenta erano particolarmente curati nella forma, a giudicare da quanto possiamo vedere nella scenetta dipinta e soprattutto in base ai ritrovamenti archeologici stessi di Pompei, dove sono emersi vasetti in vetro soffiato, spesso lavorati in forma di testa di donna o di colomba, recipienti di alabastro, forse di provenienza egiziana, oppure di terracotta, talvolta dotati anche di un forellino perchè si potessero portare appesi alla cintura.  

Andrea Zoia

Indice

 

Bibliografia

Indice