Il SenatusConsultum de Bachanalibus

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Questo articolo è comparso anche in Zetesis 2 - 2001

 

I Baccanali e la crisi sociale

  Premesse

    E’ l’anno 186 a.C. La seconda guerra punica é terminata con la vittoria di Roma su Annibale da circa un ventennio (202 - battaglia di Zama), ed i membri  della vecchia confederazione romana sono venuti ad essere in posizione di dipendenza da Roma. Dopo la seconda guerra macedone Roma ha ormai "liberato" la Grecia (lo proclamerà solennemente durante i giochi istmici del 196) e ha inizio l'egemonia sull'Asia Minore, assicurata dalla vittoria su Antioco (187 - pace di Apamea). La res publica romana si é ormai affermata come grande potenza imperialistica, retta al proprio interno da una solida oligarchia di potere.

Dopo la guerra non sono pochi gli esempi in Italia della “tirannia” di Roma, significativi del fatto che la parola “societas” aveva assunto gradatamente significati che in origine non possedeva: i “socii” erano dei sudditi, e questo fatto era tanto più chiaro dal momento che i senatori, quando volevano indicare gli alleati che fuori d’Italia avevano stipulato con Roma trattati “aequo foedere”, usano il termine “socii et amici”.

Roma generalmente volle evitare qualsiasi interferenza negli affari interni delle città italiche e non intervenne nelle dispute locali a meno che il senato non fosse giunto a credere che la sicurezza di Roma fosse in pericolo: questo avvenne una o due volte.

L’esempio più circoscritto di cosiddetta “indebita interferenza” si ha nella soppressione di quello che sembrò un culto immorale, il culto bacchico, e in questo caso le misure repressive furono dapprima adottate per Roma ed il suo territorio e poi estese ai territori degli alleati, quando fu evidente che “i provvedimenti presi in patria sarebbero rimasti inefficaci se non colpivano le radici del culto stesso in territori lontani dal quello romano”.

Negli ultimi anni della guerra annibalica furono fatti numerosi prigionieri nelle città greche dell’Italia meridionale, dove i culti misterici di Dioniso e Proserpina erano da lungo tempo attivamente praticati: ritroveremo più tardi questi schiavi a Roma, nelle aziende agricole dell’Etruria, della Campania e dell’Apulia, luoghi sui quali Livio ci ragguaglierà come quelli in cui maggiormente si farà sentire la repressione poliziesca negli anni 186-181 a.C.

I seguaci del culto solevano organizzarsi, come del resto nelle città di provenienza, in società segrete e celebravano riti misterici che i Romani non riuscivano a comprendere, anche se erano riti per certi versi simili a quelli rappresentati sulle pareti della Villa dei Misteri a Pompei. Quando alcuni di questi schiavi vennero col tempo liberati, si mescolarono liberamente con gli strati più bassi della popolazione. Le associazioni segrete erano proibite dalla legge romana e sappiamo che le associazioni di schiavi e liberti, qualora fossero state scoperte, sarebbero state giudicate pericolose, tenuto presente che solo pochi anni prima bande di schiavi ed ostaggi punici avevano provocato delle rivolte.

In questo caso, però, sembra che la scintilla scatenante della repressione sia stata la sollevata questione della moralità, anche se forse non è tutto vero quello che ci riferisce Livio, che trae notizie, pare, da una orazione di Catone a proposito di questa “coniuratio”: Livio infatti associa il culto bacchico con assassini, furti e “turpe promiscuità” praticate dai seguaci.

In Senato, dunque, furono mosse accuse relative a gravi crimini commessi, alla non osservanza della legge relativa alle associazioni, all’esistenza di una “congiura” ai danni di Roma. Dopo aver autorizzato un’inchiesta e dopo aver appurato che i seguaci del culto si trovavano sia nelle città alleate che a Roma, il Senato diede ordine ai magistrati di estirpare il male dalle radici, dovunque vedessero che esso avesse attecchito.  Il Senato ovviamente non si assunse la responsabilità di impedire ad un seguace di adempiere ai voti solennemente fatti ad un dio, ma venne proibita la pratica in comune del culto ed anche la pratica del culto da parte dei singoli fu fatta dipendere da un permesso del senato, che era possibile ottenere solo dopo il superamento di difficili formalità. La pena prevista per chi non rispettasse la legge era quella di  morte.

Questo decreto, una copia del quale ci è pervenuta su una tabella bronzea, fu emanato nel 186 dal Senato e venne rivolto esplicitamente agli alleati di Roma (quei foiderati esent), sottoponendoli alle medesime restrizioni e pene stabilite per la città di Roma.

Non bisogna, però, fare l’errore di attribuire al decreto del Senato un significato diverso da quello che in realtà possiede: ciò che spinse il Senato ad adottare severe misure in quel momento fu una forte reazione da parte dei gruppi conservatori, guidati dalla figura di Catone, contro il circolo scipionico, che costituiva il principale animatore della politica orientale di Roma, con la conseguente introduzione di mode e modi di vita greci ed asiatici, invisi ai sostenitori del Censore.

Partì dunque dal Senato della capitale una grave decisione repressiva: la messa fuori legge in tutto il territorio confederale delle associazione bacchiche e la condanna a morte dei principali responsabili.

 Questo episodio ci è comunemente noto come la"repressione dei baccanali" e ce ne riferisce, con ampiezza di particolari, Livio (capitoli 8-28 del XXXIX Libro delle Storie), che, nel quadro della restaurazione politica e religiosa augustea, utilizza questo  esempio per dimostrarci prima il grado di follia e di aberrazione in cui erano incorse Roma e l'Italia tutta e poi il grado di giusta severità a suo tempo adottato dal Senato per la difesa della religione e del costume degli antenati.

 L'episodio, dal punto di vista storico, é davvero esemplare e dà l'avvio ad un tipo di rapporto che, proprio a partire dalla fine della seconda guerra punica, si andava instaurando tra l'èlite di potere e il resto della popolazione.  Si tratta comunque di un episodio isolato, dal momento che non troveremo più, almeno per altri due secoli,  esempi di tale violenta repressione di un culto.  In questo senso, l'intervento contro i baccanali, come abbiamo già detto, può anche essere riferito a un ben preciso momento storico, quello che vede costituirsi l'elite di potere a blocco oligarchico.  Ma esso  é anche un episodio rivelatore di tendenze, che, forse, sarebbero rimaste indecifrate, se non fossero state precedute o accompagnate da un episodio repressivo così scoperto.

“Un unico filo di connessioni logiche si sottende a un processo storico che inizia con la repressione e si concluderà definitivamente con l'integrazione pacifica proposta dalla restaurazione augustea: é il dramma interno per cui Roma pagherà lo scotto di una dimensione mondiale, raggiunta a spese, spesso, di un accumulo di squilibri sociali destinati ad aggravarsi e pagata anche col prezzo della fine di quei liberi istituti democratici su cui si era retta fino al terzo secolo”.

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