LA RETORICA ANTICA

 

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La retorica ed i suoi generi: un’introduzione

 

    “Definiamo la retorica come la possibilità di scoprire in ogni argomento ciò che è in grado di persuadere. Questa è infatti la funzione di nessuna delle altre arti; tutte le altre, infatti, hanno per scopo l’insegnamento e la persuasione a proposito del proprio oggetto: la medicina riguardo i casi di buona salute e di malattia, la geometria riguardo alle variazioni che intervengono nelle grandezze, l’aritmetica riguardo ai numeri, e così pure le altre arti o scienze. La retorica, al contrario, sembra poter scoprire ciò che persuade, per così dire, attorno a qualsiasi argomento dato; per questa ragione, affermiamo che essa non costituisce una tecnica che riguardi un genere proprio e determinato”. Queste le parole di Platone, nel Gorgia, per definire compiutamente la retorica, la tecnh ths peiqous, l’arte della persuasione e del convincimento.

La parola stessa “retorica” è costituita dalla radice “rh”, legata semanticamente al concetto di “dire”, nel senso di impiegare la parola e formulare un discorso. La retorica è il momento in cui il parlare tocca il suo vertice più alto e le “componenti fisiche” – quello che definiremo come actio – si fondono con quelle intellettuali: per componenti fisiche intendiamo la pronuncia, la mimica facciale e la gestualità dell’oratore, tutti diretti verso il pubblico degli uditori, verso i quali chi parla si rivolge.

Il pubblico cui l’oratore (in questo momento ci riferiamo al retore greco) si indirizza è usualmente la comunità dei cittadini, il demos, perchè l’argomento dei discorsi è – per la maggior parte delle volte – l’interesse di tutta la città, presentato in modo che la comunità stessa possa prendere una decisione favorevole o contraria al tema proposto. L’oratore fa del suo meglio per convincere e persuadere il dhmos che l’argomento da lui proposto sia quello veritiero, ma in ultima analisi è proprio alla comunità raccolta in assemblea che spetta decidere “il grado di vicinanza al vero” della tesi appena proposta.

Le tre finalità “classiche” del discorso costruito in base alla tecnh ths peiqous sono docere, cioè riuscire a trasmettere un messaggio educativo agli ascoltatori, movere, cioè riuscire a persuadere il pubblico, ed infine delectare, ovvero tenere viva l’attenzione della platea attraverso espedienti retorici che allontanino la noia e permettano di seguire la logica sottile del ragionamento esposto.

    Riportiamo ora le parole di Aristotele, dalla Retorica (Ret. 1358 a-b), a proposito della distinzione della medesima in tre generi distinti: “Tre sono i generi della retorica, ed altrettanti sono infatti anche i tipi di ascoltatori dei discorsi”. Vediamo che Aristotele focalizza bene l’elemento chiave del destinatario dell’arte della persuasione, senza il quale la retorica stessa perde assolutamente di significato: “Il discorso, a sua volta, è costituito da tre elementi: da chi parla (o legwn ), da ciò di cui si parla (peri ou legei) e da con chi si parla (pros on legei); ed il fine (telos) è rivolto a quest’ultimo, all’ascoltatore (akroaths). E’ necessario che l’ascoltatore sia spettatore (qewros) o giudice (kriths) e che il giudice esprima il proprio verdetto sul passato o sul futuro. Vi è chi decide sul futuro, come il membro dell’assemblea; chi decide sul passato, come il giudice; e chi decide sull’abilità dell’oratore, cioè lo spettatore. Cosicché vi saranno di necessità tre generi di retorica: il deliberativo (genos sumbouleutikon), il giudiziario (genos dikainikon) e l’epidittico (genos epideiktikos)”. In questo paragrafo sono ben delineati i tre generi della retorica e viene nuovamente posto in rilievo quanto questa classificazione dipenda indissolubilmente dal tipo di pubblico cui il retore veniva a rivolgersi. Aristotele prosegue: “I due aspetti della deliberazione sono lo sconsigliare ed il consigliare (protroph e apotroph). ... I due aspetti dell’azione giudiziaria sono l’accusa e la difesa (apologia e kathgoria); ... gli aspetti del genere epidittico sono l’elogio ed il biasimo (epainos e yogos). Quanto poi ai tempi di ciascuno di questi generi, il tempo del consigliare è il futuro; infatti egli persuade, consigliando o sconsigliando, riguardo alle cose future. Per chi affronta un processo il tempo è il passato: è sempre sui fatti compiuti, infatti, che qualcuno accusa e ed un altro difende ... Per l’oratore epidittico il tempo principale è il presente: infatti, tutti esprimono lode o biasimo riguardo ad avvenimenti del presente”. Infine Aristotele presenta i fini relativi ai tre generi della retorica: “Ciascuno di questi generi ha un fine diverso; ... Il consigliere ha come fine l’utile od il nocivo. ... I contendenti in giudizio hanno per fine il giusto e l’ingiusto; ... Quelli invece che lodano o biasimano hanno per fine il bello ed il brutto”. Questo, secondo Aristotele, lo schema complessivo della retorica, destinato a cristallizzarsi e a divenire “classico”.

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