Le ripartizioni della retorica

 

    E’ ora opportuno analizzare la struttura che venne ad assumere l’arte della retorica: essa si strutturava in cinque “operazioni” fondamentali: l’inventio (eurhsis), cioè il momento in cui si opera l’invenire quid dicam, la dispositio (taxis), ovvero il momento per inventa disponere; segue l’elocutio (lexis), in cui si opera in modo da ornare verbis, poi l’actio (upokrisis), ovvero agere et pronuntiare, ed infine la memoria (mnhmh), cioè il memoriae mandare.

Le prime tre “operazioni” hanno un’importanza fondamentale, mentre le ultime due, legate alla fase “orale” della composizione del discorso, persero progressivamente di importanza man mano che i discorsi creati ed ornati grazie all’arte oratoria divennero sempre di più capolavori letterari, destinati e spesso già concepiti, in quanto tali, alla composizione esclusivamente scritta.

Analizziamo brevemente i momenti fondamentali della composizione del discorso: l’INVENTIO caratterizza la via scelta dall’oratore per trovare gli argomenti per il suo discorso, sia che egli intenda convincere (fidem facere), sia che invece voglia scuotere gli animi dei suoi ascoltatori (animos impellere). Se il retore sceglie la prima strada, deve trovare le “prove” con cui spingere il pubblico a sostenere la propria tesi. Tali prove possono essere extra-tecniche (sono le testimonianze, le confessioni, le sentenze precedentemente emesse dal tribunale, e così via) oppure, ben più importanti, possono derivare dalla capacità argomentativa dell’oratore. In questo secondo caso vengono suddivise exempla (ricavate per via induttiva) ed in argumenta (per via deduttiva): gli argumenta si fondano principalmente sulla forma logica del sillogismo o entimema, concepito non per condurre l’interlocutore (od il pubblico, in questo caso) al vero, quanto piuttosto al verisimile.

Per condurre il filo del suo discorso fino alla conclusione ( ed alla sperata persuasione ), l’oratore, ancora in fase di “progettazione” del suo discorso – siamo ancora nell’ambito dell’inventio – si ispira ai Topica, cioè alla raccolta dei luoghi comuni dell’arte dialettica, utili per creare gli schemi mentali attorno ai quali articolare le linee del ragionamento. Per Aristotele, in particolare, prima che anche i Topica si cristallizzino e diventino degli stereotipi o loci communes, essi erano in origine tre: possibile ed impossibile, reale ed irreale, più e meno. Il dualismo possibile/impossibile si adatta all’oratore che voglia costruire un discorso del genere deliberativo; la dicotomia reale/irreale è perfetta per chi compone un discorso del genere giudiziario ed infine la distinzione più/meno è tipica del genere epidittico (nella forma di elogio/biasimo).

Per quanto riguarda invece le prove che devono portare alla persuasione dell’ascoltatore, queste ultime vengono suddivise in caratteri (hqh) e passioni (paqh). Le passioni sono gli affetti dell’ascoltatore, che la psicologia della retorica deve saper sfruttare a proprio vantaggio. I caratteri sono quelli che l’oratore deve mostrare: fronhsis, cioè saggezza ed obiettività, poi areth, nel senso di onestà morale, ed infine eunoia, cioè la capacità di farsi benvolere dagli ascoltatori.

All’inventio fa seguito la DISPOSITIO, l’arte di collocare al posto più opportuno ciascuno dei termini che andranno a costituire il discorso, seguendo schemi studiati appositamente per evidenziare e nascondere a seconda della volontà dell’oratore stesso. Secondo Aristotele la dispositio si può suddividere in quattro parti: la prima e l’ultima – rispettivamente esordio ed epilogo – devono far leva sui sentimenti del pubblico, mentre le due parti intermedie, dette narratio (il momento espositivo) e confirmatio (dove l’oratore mostra veritiere le proprie prove), devono far leva sulla razionalità. L’esordio del discorso viene lasciato arbitrario e può essere a sua volta suddiviso nei momenti distinti della captatio benevolentiae, in cui l’oratore cerca di accattivarsi le simpatie degli ascoltatori, e partitio, ovvero esposizione succinta dei temi che si andranno a trattare in seguito.

La terza “operazione” fondamentale è l’ELOCUTIO, in cui i temi trovati e gli schemi scelti devono essere “trasformati in parole” per dar vita all’orazione vera e propria. Aristotele non dà peso eccessivo a questo momento, che invece, ripreso ed ampliato dal grande Gorgia di Leontini, divenne poi il cuore della retorica stessa. Di nuovo possiamo suddividere l’elocutio in electio, cioè la scelta delle parole, e compositio, cioè riunire le parole scelte in modo da comporre il periodare. Il momento dell’electio sottintende che ogni vocabolo possa essere sostituito da un altro più opportuno: esiste, in altri termini, uno “scarto tra il linguaggio disadorno e quello della retorica, che “vive” di colores, lumina, flores”. Gli strumenti a disposizione dell’oratore per realizzare questo scarto sono tropi, cioè “svolte” di espressioni da un contenuto ad un altro, per creare un effetto di straniamento (come accade per perifrasi, sineddoche, antonomasia, litote, iperbole, metonimia e metafora), oppure figure, ripartite in figure di pensiero (prosopopea, entimema, antitesi, ossimoro, chiasmo, similitudine, preterizione, reticenza, usteron proteron, allegoria o apostrofe) e figure di parola (epanalessi, anadiplosi, climax, anafora, epifora, paranomasia, poliptoto, endiadi, ipallage, ellissi, zeugma, asindoto, anastrofe, iperbato od omoteleuto). Il momento della compositio, infine, consiste nell’inserire correttamente le parole scelte nella cornice della frase: l’oratore può optare per una costruzione geometrica, amata ad esempio da Cicerone, in cui il periodare viene ripartito in uno schema composto da commi (battute) e colon (membri), oppure per quella dinamica, che caratterizza ad esempio lo stile del grande storico Tacito.    

 

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