Il tema della morte

    Molti sono gli studi che hanno posto in luce come nella Cena Trimalchionis l’idea della morte sia presente in numerosi casi, tanto da poter essere considerata sottesa all’intero episodio. Dalla scena iniziale del corteo, infatti, forse interpretabile come corteo funebre, allo scheletrino d’argento recato in tavola, alla lettura del testamento del padrone di casa fra le lacrime dei presenti; dalla descrizione compiaciuta della propria tomba, fatta da Trimalcione al marmorino Abinna, alla contrapposizione fra il vino che è la vita e la mortalità dell’uomo (il vino nella cena è più volte legato a riflessioni sulla vita e sulla morte dell’uomo : Trimalcione afferma che diutius vivit vinum quam homuncio”, che  vita vinum est” e fa poi portare del vino con cui predice saranno lavate le sue ossa e, offertolo ai convitati nel vinarium, li invita a considerare la cena come un banchetto funebre), fino alla prefigurazione delle proprie esequie, la Cena è totalmente pervasa da un’atmosfera di morte (Satyricon, 34).

In realtà, l’intero episodio è concepito come una “ultima cena”, ma non si comprende la necessità per Trimalcione di celebrarla: Trimalcione stesso, infatti, afferma in Satyr 78, 1 di aver consultato un astrologo che gli ha predetto che gli restano da vivere ancora trent’anni ed il tono usato dal padrone di casa non lascia dubitare che il ricco liberto sia davvero persuaso della veridicità di tale previsione. Questa considerazione conferma il fatto che tutta la scena del convito sia improntata ad un deciso intento parodistico nei confronti del racconto di Marco.

    Alla luce di questa interpretazione, diviene particolarmente significativo un altro passo della Cena (Satyr. 74, 1-3), in cui improvvisamente si avverte il canto di un gallo ; esso suscita un forte timore in Trimalcione, che, superstiziosamente, fa versare del vino sotto la tavola e sulla lanterna, per stornare ciò che egli suppone essere un funesto presagio annunciato dal gallo. Trimalcione crede che accadrà un disastro quale un incendio, oppure che morirà certo qualcuno nelle vicinanze: “Aut incendium oportet fiat, aut aliquis in vicinia animam abiciat” (74, 2). Il canto del gallo, dunque, è presentato come presagio di sciagura e di morte : è interessante osservare che nella tradizione greca e romana il canto del gallo era sentito come preannunzio del giorno o di una vittoria, e mai come presagio di morte.

Nel Vangelo, invece, il canto del gallo, oltre ad essere denuncia di una colpa, preannuncia anche un giorno di dolore e di morte. E’ importante rilevare inoltre che la versione marciana è quella che più delle altre insiste su questo particolare del gallo, sia per il numero di passi in cui il suo canto è menzionato, sia per la precisazione che esso canta due volte. In Mc.14, 30, infatti, troviamo la predizione del tradimento di Pietro “prima che il gallo canti due volte" (pri@n h° di@v aéle@ktora fwnh^sai); negli altri Vangeli, invece, il gallo canta una sola volta e ci si sofferma meno su questo particolare.

    Decisiva per la dipendenza da Marco appare soprattutto la definizione data in Petronio del gallo come index (Trimalcione afferma : “quisquis hunc indicem attulerit, corollarium accipiet” ) : il termine ha un significato tecnico derivato dall’ambito giuridico, con il valore di “denunciatore” o “accusatore”. Non appare affatto casuale che Petronio abbia scelto proprio questo vocabolo, se si tiene conto la funzione rivestita dal gallo nel Vangelo, che è appunto quella di “denunciare” il rinnegamento di Pietro. La volontà parodistica di Petronio si esplicita sicuramente nella conclusione dell’episodio, in cui il funesto nunzio  viene immediatamente catturato e messo in pentola.

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