Il rinnegamento di San Pietro

 

    Auerbach, conclusa l’analisi di questi episodi, spinge ad un’ulteriore riflessione: mostra infatti un esempio di narrazione che, pur coeva ai brani ora presentati, rivela un senso del realismo nettamente differente da quello estremamente pallido se non assente di Tacito e Petronio.

Si tratta dell’episodio della rinnegazione di San Pietro, che per tre volte – prima  che il gallo per due volte canti , come a lui aveva profetizzato Gesù – smentisce, davanti ad una serva che era convinta di averlo riconosciuto, di essere un discepolo di Gesù che era stato arrestato, come raccontato nel Vangelo di Marco (Mc. 14, 27-31 e Mc. 14, 66-72). 

Pietro dopo l’arresto del suo Maestro ha seguito i soldati che lo conducevano via e si è introdotto nel palazzo del Gran Sacerdote e siede poi vicino al fuoco in mezzo ai servi. Improvvisamente una serva sembra riconoscerlo e lo accusa di essere stato discepolo di Gesù. Pietro nega con forza e si allontana – non prima di aver udito un gallo cantare –, ma la serva lo segue e nel vestibolo del palazzo gli rinnova la sua accusa ed anche i presenti se ne accorgono. Pietro nega una seconda volta, ma dagli astanti viene riconosciuto il suo dialetto di Galilea: ancora Pietro nega, con vigore, e giura di non conoscere “quest’uomo di cui parlate”. In quel mentre il gallo canta per la seconda volta e Pietro, ricordatosi della profezia del Maestro, scoppia in lacrime. Non è invece raccontato come sia riuscito a sfuggire al pericolo di essere arrestato a sua volta.

La scena nel suo complesso è per definizione estremamente realistica, sia a causa delle circostanze (che rendono superflua una qualsiasi aggiunta di drammaticità al contesto) che dei luoghi e della bassa estrazione sociale dei personaggi che la popolano. In questo senso, Auerbach osserva acutamente che San Pietro, a differenza di Percennio, non è un personaggio che funga da riempitivo per rendere l’episodio più realistico e più vivo per il lettore: al contrario egli è un protagonista puro e semplice della vicenda, e non per questo meno drammatico o intenso nei suoi gesti. Assente, dunque, ogni abbellimento retorico o ritocco artistico, secondo lo stile tipico degli scritti giudaico – cristiani: Pietro era un pescatore della Galilea, di origini e cultura umilissime, mentre gli altri personaggi che attraversano la scena sono comuni servi. 

L’arresto di Cristo, che pure coinciderà con “l’ingresso dell’Eterno nel tempo”, per il particolare dell’Impero non è nient’altro che un episodio del tutto marginale, avvenuto in una provincia lontana da Roma e nota per la sua tradizione di infinite ribellioni. Eppure Pietro, colui che attraverso il rinnegamento di Gesù è caduto più in basso degli altri discepoli, attraverso il riscatto della Fede è destinato a diventare un uomo decisivo per l’affermazione dell’insegnamento evangelico: ci troviamo di fronte ad un eroe tragico di umili origini che trae forza dalla sua debolezza e si riscatta in modo del tutto inconcepibile per gli schemi letterari degli antichi, così come lo sono – nota ancora Auerbach – i luoghi dell’azione tragica, ovvero un arresto da parte delle forze dell’ordine di un sobillatore tra le persone comuni del popolo.

Episodi di questo tenore, nella loro essenza di imitazione del reale, nella prosa antica avrebbero fatto sicuramente parte, quanto a stile, luoghi e personaggi, alla commedia o alla farsa, benché i temi trattati siano troppo seri: non sarebbe mai potuto accadere che la trattazione del destino di personaggi tanto umili costituisse il cuore stesso della narrazione, né che costituisse il nucleo di una rappresentazione del nascere di una forza storica poi destinata a rivelarsi dirompente, essendo i fatti narrati “politicamente troppo irrilevanti per la storiografia” e contemporaneamente troppo umili per la tragedia.

Anche l’uso del discorso diretto tra Pietro e la serva nel loro breve scambio di battute è assolutamente inconsueto per la storiografia antica: è agli antipodi dei discorsi pregni di raffinata arte retorica quali le parole di Percennio tanto quanto degli aneddoti citati dagli storici antichi con il consueto spirito moralistico.

In definitiva tra il Vangelo di Marco ed i due scritti coevi esaminati, il Satyricon e gli Annali, si pongono a fungere da spartiacque nella diversità di approccio al realismo storico – descrittivo il fatto di essere stati scritti con punti di vista differenti e per finalità differenti. Dall’alto cade lo sguardo di Tacito, aristocratico e sprezzante nei confronti delle rivendicazioni dei soldati non diversamente dai lettori suoi pari, e dall’alto cade quello di Petronio, per quanto, come sottolineato in precedenza, il suo stile impareggiabile riesca a far sì che la scena descritta sembri prender vita dal suo interno, attraverso gli occhi dei commensali stessi. Tuttavia si tratta di un filtro letterario che vuole celare quasi per gioco il ritratto colmo di scherno e di disprezzo del comportamento sociale di ricconi parvenu che non hanno il gusto, lo stile e la cultura di quella ristretta cerchia legata alla corte di Nerone per cui scriveva.

Viceversa, il Vangelo di Marco risulta scritto mentre gli avvenimenti si dipanano ed è destinato a tutti, senza dover abbellire la materia con una patina di retorica: è il concreto, sono i fatti stessi che vengono narrati a dare drammaticità al testo grazie alla loro veridicità ed alla loro importanza per le conseguenze che vengono ad avere sul lettore stesso attraverso il messaggio di salvazione che essi contengono. 

  Andrea Zoia

Indice

Bibliografia

Testi originali:

Auerbach, Mimesis, Troino 1956