Le grandi persecuzioni

 

Nell’anno 303 Galerio decise di intervenire duramente contro i Cristiani. Egli era figlio di una sacerdotessa delle divinità dei morti, discendente da una famiglia originaria della Dacia, e subentrò come Cesare a Diocleziano in Oriente nel 305, al ritiro dalla politica di Diocleziano stesso. Lattanzio ne parla come di uomo bestiale nel corpo e nello spirito, impregnato di una crudeltà definita persino “a Romano sanguine aliena” (De Mort. Pers. 9,2), pervaso da un odio fanatico e spietato nei confronti dei Cristiani. Dopo aver dato vita alla seconda fase persecutoria contro i Cristiani, vi pose fine solo nel 311, quando, in punto di morte per una malattia “ripugnante e mortale”, accusandoli di non aver capito le sue vere intenzione e di aver attirato su di sé la maledizione del loro Dio, li scongiurò da ultimo di pregare Dio per lui.

Galerio si propose da subito come il difensore del mos maiorum, delle leges veteres e della publica Romanorum disciplina, da lui avvertiti come una vera e propria religione, giungendo all’eccesso di rinnegare la tradizione dei padri “secondo il suo arbitrio e secondo quanto a lui stesso piaceva” (Lact. De Mort. Pers. 34).

Il 23 febbraio 303, in occasione della festa dei Terminalia, venne emanato il primo vero editto persecutorio di Diocleziano su proposta di Galerio : si ordinava di distruggere le chiese e di bruciare le Sacre Scritture . I cittadini honestiores venivano colpiti da “infamia” e privati della possibilità di far ricorso in giudizio : diventavano così soggetti ad ogni procedimento legale e sottoposti a pene denigranti. L’occasione dei Terminalia fu ampiamente sfruttata perché gli attacchi contro i Cristiani apparissero come simbolo di festa e di augurio per tutti i pagani. La pena di morte non era ancora prevista : nei piani di Diocleziano, che aborriva l’idea di una epurazione cruenta, si trattava di un espediente per liberarsi di tutti i Cristiani “infiltrati” nella classe dirigente e della Chiesa come organizzazione.

Pochi mesi dopo, tuttavia, prendendo a pretesto due incendi scoppiati nel palazzo imperiale, Diocleziano ordinò che i sacerdoti e i diaconi arrestati durante il primo atto della persecuzione fossero messi a morte. Persino sua moglie Prisca e sua figlia Valeria furono costrette a celebrare sacrifici per dimostrare di non essere cristiane. Nel 304 Diocleziano costrinse tutti i Cristiani a fare libagioni agli dei, per “stanare” quelli che ancora si nascondevano all’interno dell’esercito o della burocrazia imperiale.

La Gallia e la Britannia, tuttavia, rimasero come “isole” al riparo dalle violenze della persecuzione, sotto il governo del cesare Costanzo Cloro.

Nel maggio del 305 Diocleziano scelse di abdicare e la seconda tetrarchia causò il proseguimento della persecuzione in Oriente, che era affidato a Galerio ed a Massimino Daia, e la cessazione in Occidente, sotto l’autorità di Costanzo Cloro e di Massenzio.

Nel 311 Galerio, che si sentiva prossimo a morire, pose fine alla persecuzione in Oriente con un decreto noto come Editto di Serdica, con il quale concedeva che i Cristiani fossero di nuovo liberi di radunarsi e di celebrare il loro culto : non ammetteva esplicitamente di aver avuto torto ad avviare la persecuzione, ma si diceva spinto da motivi umanitari a far cessare un massacro che riteneva inutile, dato che i Cristiani si erano chiaramente dimostrati disposti a morire pur di non rinnegare quella che egli continuava a ritenere una dottrina erronea.

Galerio riteneva colpevoli i Cristiani di “averlo costretto alla strage, ma li ‘perdonava’ e permetteva loro di essere di nuovo Cristiani e di riprendere le loro riunioni” (il testo dice “denuo”, in riferimento all’editto di Gallieno).

Massimino Daia, alla morte di Galerio, decise di continuare la persecuzione, ma preferì sostituire alla pena di morte il lavoro forzato nelle miniere (ad metallas) o le mutilazioni. Decretò inoltre che tutti i cibi dovessero essere consacrati agli dei e che i bagni pubblici permettessero l’accesso solo a chi avesse fatto un sacrificio, per ostacolare in ogni modo i Cristiani. Aggiunse poi un’intensa opera di propaganda per gettare discredito attraverso calunnie infamanti sui Cristiani : a lui risalgono i falsi Atti di Pilato, condannati già da Eusebio (HE IX,5) che li riteneva “pieni di bestemmie contro Cristo”, che suscitarono il dissenso persino di alcuni esponenti del paganesimo.

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