Pindaro

 

        Pindaro nacque a Cinocefale, vicino a Tebe, intorno al 520-518 a.C., dalla nobile famiglia degli Egidi, originari di Sparta e fondatori del culto gentilizio di Apollo Carneo, secondo quanto il poeta stesso afferma nella sua Pitica V. Sarebbe stato avviato alla poesia dalle due poetesse beotiche Mirtide e Corinna, ma avrebbe poi cercato ad Atene altri insegnanti, alla scuola dei quali avrebbe appreso la sapiente tecnica che lo contraddistingue. Nel 498 a.C. cantò nella Pitica X la vittoria del tessalo Ippocle, conquistata a Delfi nella corsa dei ragazzi, e - celebrando questo discendente della nobile stirpe tessala degli Alevadi - Pindaro iniziava così la sua illustre carriera di poeta aristocratico, cantore dei trionfi agonali degli atleti e degli epigoni delle più antiche famiglie. Preso dalla volontà di celebrare il passato, si sentiva estraneo al presente delle Guerre Persiane e degli ideali panellenici che esse avevano reso predominanti nella cultura del tempo. Quando, nel 480 a.C., la politica di Tebe divenne apertamente filopersiana e la città, governata da un gruppo di aristocratici, accolse pacificamente gli inviati di Serse, mandando perfino un contingente militare, che combatté a Platea (479 a.C.) a fianco dell’armata persiana, Pindaro faceva parte della classe aristocratica che era venuta a patti col nemico. I motivi che lo spingevano, tuttavia, non erano di tipo politico: si sentiva infatti ispirato dall’ideale di vita eroico, remoto e in stridente contrasto con i regimi democratici che in quegli anni si diffondevano sempre più nelle città dell’Ellade. I miti eroici aristocratici erano i medesimi che rivedeva nelle figure degli atleti, vincitori delle gare olimpiche e pitiche, nemee ed istmiche, che avevano luogo in festività solenni, capaci di attirare ancora l’attenzione di tutta l’Ellade, in un superamento completo, anche se momentaneo, degli innumerevoli contrasti interni. Dopo la fine del conflitto, tuttavia, volle ripensare il suo iniziale giudizio e si dedicò a celebrare con uguale slancio la vittoria di Salamina (Istmica V) ed il ruolo di Atene, “baluardo dell’Ellade” (Fr.  77). Pindaro visse gli anni fra il 476 e il 460 a.C. in Sicilia. Le grandi città sicule erano una presenza costante ed attiva nei giochi e inviavano i loro campioni soprattutto a quelle gare che erano sinonimo di nobiltà e dimostrazione di ricchezza: le corse dei cavalli e quelle dei carri. Il poeta volle esaltare i tiranni della Sicilia, ponendoli sullo stesso piano degli antichi monarchi, il cui potere discendeva direttamente da Zeus. Con Terone di Agrigento, a cui dedicò la II e la III Olimpica, Pindaro instaurò anche un rapporto di amicizia. Fra gli altri illustri committenti di Pindaro possiamo citare il tiranno di Siracusa, Ierone, per il quale il poeta compose, nel periodo fra il 476 e il 470, l’Olimpica I e la Pitica I. L’amicizia fra Pindaro e Ierone, tuttavia, non durò a lungo, a causa della simpatia che egli accordò a due poeti di Ceo, Simonide e Bacchilide: Ierone, infatti, affidò proprio a quest'ultimo l’incarico di celebrare la sua vittoria nella corsa delle quadrighe, riportata alle Olimpiadi del 468 a.C. Pindaro, lasciata quindi la Sicilia, visse in molti luoghi: Egina, Rodi, Corinto e Ceo, sempre presso corti e famiglie aristocratiche. Dopo il 460, tuttavia, la produzione di Pindaro si fece meno intensa e più pessimistica. La democrazia ateniese aveva assunto la funzione di polo politico dell’Ellade, e Tebe era stata sottomessa per circa un decennio, mentre il santuario di Delfi, con il suo culto così legato agli antichi ideali aristocratici, era finito sotto il dominio dei Focesi. Di fronte al crollo progressivo ed irreversibile di tutti i valori che erano stati la sua ragione di vita e di poesia, Pindaro non poteva sottrarsi ad una visione sempre più triste e delusa dell’esistenza. Sull’ultima fase della vita di Pindaro non disponiamo di notizie sicure: secondo la tradizione antica, il poeta ottantenne morì ad Argo, verso il 438 a.C..