Tacito

Annales

 

Ore di angoscia per Messalina ( XI, 37 )

37. Intanto Messalina, nei giardini di Lucullo, cercava di allontanare la fine e scriveva una supplica, non senza qualche speranza e, a volte, accensioni d'ira: tanta superbia esprimeva anche nei momenti prossimi alla fine. E se Narcisso non avesse accelerato la morte di lei, la rovina sarebbe caduta sull'accusatore. Claudio infatti, rientrato a palazzo e addolcito da un banchetto anticipato, nel calore del vino, diede ordine di andare a riferire a quell'infelice - dicono che abbia usato proprio questo termine - di presentarsi il giorno dopo per la sua discolpa. A queste parole, pensando che l'ira sbollisse e ritornasse l'amore e temendo, in caso di esitazione, la notte imminente e il ricordo del talamo, Narcisso non si trattiene e ordina ai centurioni e al tribuno presente di procedere all'uccisione: tale era l'ordine dell'imperatore. Il controllo dell'esecuzione è affidato a Evodio, un liberto. Costui si recò subito nei giardini di Lucullo e trovò Messalina sdraiata a terra, con accanto la madre Lepida, che, in disaccordo con la figlia nel periodo della sua fortuna, si era lasciata vincere dalla pena, in quei terribili momenti, e la persuadeva a non aspettare il sicario: la sua vita era finita, non le restava che riscattare la dignità con la morte. Ma in un animo corrotto dalle dissolutezze non c'era spazio per la dignità. E si scioglieva in lacrime e in vani lamenti, quando, sotto la spinta dei soldati in arrivo, si spalancarono le porte, e il tribuno rimase fermo, in piedi, in silenzio; il liberto invece la investì con un torrente di insulti volgari.

 

Testo originale

XXXVII. Interim Messalina Lucullianis in hortis prolatare uitam, componere preces, non nulla spe et aliquando ira: tantum inter extrema superbiae gerebat. Ac ni caedem eius Narcissus propemuisset, uerterat pemicies in accusatorem. Nam Claudius domum regressus et tempestiuis epulis delenitus, ubi uino incaluit, iri iubet nuntiarique miserae (hoc enim uerbo usum ferunt) dicendam ad causam postera die adesset. Quod ubi auditum et languescere ira, redire amor ac, si cunctarentur propinqua nox et uxorii cubiculi memoria timebantur, prorumpit Narcissus denuntiatque centurionibus et tribuno, qui aderat, exequi caedem: ita imperatorem iubere. Custos et exactor e libertis Euodus datur; isque raptim in hortos praegressus repperit fusam humi, adsidente matre Lepida, quae florenti filiae haud concors supremis eius necessitatibus ad misemtionem euicta erat suadebatque ne percussorem opperiretur: transisse uitam neque aliud quam morti decus quaerendum. Sed animo per libidines corrupto nihil honestum inerat; lacrimaeque et questus inriti ducebantur, cum impetu uenientium pulsae fores adstititque tribunus per silentium, at libertus increpans multis et seruilibus probris.

 

 

La morte di Messalina ( XI, 38 )

38. Allora per la prima volta intuì il suo destino e afferrò un pugnale, cercando invano, nell'emozione violenta, di colpirsi la gola e il petto, ma è trafitta da un colpo del tribuno. Il corpo fu lasciato alla madre. Venne riferito a Claudio, ancora a mensa, che Messalina era morta, senza specificare se di propria mano o d'altri; né lui si informò: chiese una tazza e continuò, come prima, il banchetto. Neppure nei giorni successivi diede segno di odio o di gioia, d'ira o di tristezza, insomma di nessun sentimento umano, non di fronte alla gioia degli accusatori, non davanti al dolore dei figli. A dimenticarla lo aiutò il senato, con la delibera di togliere il nome e le statue di lei dai luoghi privati e pubblici. A Narcisso furono conferite le insegne di questore, compenso irrisorio rispetto alla sua arroganza, ora che si sentiva superiore a Pallante e a Callisto... azioni certo meritorie, ma quali mali tremendi ne sarebbero nati!...

 

Testo originale

XXXVIII. Tunc primum fortunam suam introspexit ferrumque accepit, quod frustra iugulo aut pectori per trepidationem admouens ictu tribuni transigitur. Corpus matri concessum. Nuntiatumque Claudio epulanti perisse Messalinam, non distincto sua an aliena manu. Nec ille quaesiuit, poposcitque poculum et solita conuiuio celebrauit. Ne secutis quidem diebus odii gaudii, irae tristitiae, ullius denique humani adfectus signa dedit, non cum laetantis accusatores aspiceret, non cum filios maerentis. Iuuitque obliuionem eius senatus censendo nomen et effigies priuatis ac publicis locis demouendas. Decreta Narcisso quaestoria insignia, leuissimum fastidii eius, cum super Pallantem et Callistum ageret, +honesta quidem, sed ex quis deterrima orerentur [tristitiis multis].