Tacito,

Annales

 

Il "partito" di Agrippina ( Liber IV, 17 )

Durante il consolato di Cornelio Cetego e di Visellio Varrone ( 24 d.C. ), i Pontefices ( maximi ) e, secondo il loro esempio, tutti gli altri sacerdoti, mentre pregavano per l'incolumità dell'imperatore, affidarono ( alla protezione ) degli stessi dei anche Nerone e Druso, non tanto per affetto nei confronti dei due ragazzi, quanto per adulazione, che - in tempi di corruzione - è ugualmente pericolosa quando non c'è e quando è troppa. Tiberio, infatti, che non era mai stato benevolo nei confronti della casa di Germanico, allora sì che perse davvero la pazienza del fatto che i due ragazzi godessero della stessa stima di lui anziano e, mandati a chiamare i Pontefices, chiese loro se l'avessero fatto per le preghiere o per le minacce di Agrippina. Ed essi, benchè negassero, furono tuttavia rimproverati in modo blando: infatti la maggior parte di loro proveniva dai suoi stessi parenti oppure apparteneva ai cittadini più illustri. Del resto in Senato li avvertì con un discorso che, per il futuro, nessuno facesse insuperbire gli animi ancora fragili dei giovani con onori prematuri. Infatti Seiano insisteva e denunciava il fatto che la città era divisa (in due) come per una guerra civile: c'erano alcuni che si definivano del partito di Agrippina e, se no si fosse posto un freno, sarebbero aumentati di numero; e non c'era altro rimedio alla crescente discordia che fossero eliminati uno o due di quelli più audaci. 

Testo originale

Cornelio Cethego Visellio Varrone consulibus pontifices eorumque exemplo ceteri sacerdotes, cum pro incolumitate principis vota susciperent, Neronem quoque et Drusum isdem dis commendavere, non tam caritate iuvenum quam adulatione, quae moribus corruptis perinde anceps, si nulla et ubi nimia est. nam Tiberius haud umquam domui Germanici mitis, tum vero aequari adulescentes senectae suae impatienter indoluit accitosque pontifices percontatus est num id precibus Agrippinae aut minis tribuissent. et illi quidem, quamquam abnuerent, modice perstricti; etenim pars magna e propinquis ipsius aut primores civitatis erant: ceterum in senatu oratione monuit in posterum ne quis mobilis adulescentium animos praematuris honoribus ad superbiam extolleret. instabat quippe Seianus incusabatque diductam civitatem ut civili bello: esse qui se partium Agrippinae vocent, ac ni resistatur, fore pluris; neque aliud gliscentis discordiae remedium quam si unus alterve maxime prompti subverterentur.

 

Un bersaglio dell'odio di Seiano: Gaio Silio ( Liber IV, 18 )

Per questa ragione vengono attaccati Gaio Silio e Tizio Sabino. L'amicizia di Germanico era pericolosa per entrambi, per Silio anche perchè, dopo essere stato a capo di un numeroso esercito per sette anni e dopo aver vinto la guerra contro Sacroviro ed aver conseguito in Germania le insegne trionfali, con quanta maggior pesantezza fosse caduto, tanto più grande paura sarebbe insorta negli altri. La maggior parte della gente credeva che l'offesa fosse stata incrementata dalla sua immodestia, visto che ripeteva con ostentazione che i suoi soldati, mentre gli altri si ammutinavano in rivolte, erano rimasti fedeli; e Tiberio non avrebbe mantenuto il suo potere se anche le sue legioni si fossero rivoltate. L'imperatore pensava che la propria posizione fosse indebolita da queste accuse e di non poter ricambiare un favore così grande. Infatti i favori sono graditi fintanto che sembra che ce ne possiamo sdebitare: quando diventano esorbitanti, si ricambia con l'odio al favore. 

Testo originale

Qua causa C. Silium et Titium Sabinum adgreditur. amicitia Germanici perniciosa utrique, Silio et quod ingentis exercitus septem per annos moderator partisque apud Germaniam triumphalibus Sacroviriani belli victor, quanto maiore mole procideret, plus formidinis in alios dispergebatur. credebant plerique auctam offensionem ipsius intemperantia, immodice iactantis suum militem in obsequio duravisse cum alii ad seditiones prolaberentur; neque mansurum Tiberio imperium si iis quoque legionibus cupido novandi fuisset. destrui per haec fortunam suam Caesar imparemque tanto merito rebatur. nam beneficia eo usque laeta sunt dum videntur exolvi posse: ubi multum antevenere pro gratia odium redditur.

 

Un processo farsa ( Liber IV, 19 )

Era moglie di Silio Sosia Galla, invisa all'imperatore per il suo affetto nei confronti di Agrippina. si decise, dopo aver rimandato a suo tempo la questione di Sabino, di sbarazzarsi di costoro, e fu istigato il console Varrone, che, adducendo a pretesto le inimicizie paterne, serviva ottimamente agli odii di Seiano disonorando se stesso. Benchè l'accusato supplicasse che fosse concessa una breve attesa, finchè l'accusatore lasciasse la carica di console, l'imperatore si oppose; diceva che era infatti consuetudine dei magistrati comunicare ai privati cittadini il giorno della convocazione a giudizio: e non bisognava violare l'ordine del console, grazie alla cui opera di vigilanza ci si sforzava affinchè lo stato non ricevesse alcun danno. Questo fu tipico di Tiberio, nascondere con formule antiche delitti appena escogitati. Quindi con molta serietà, come se Silio fosse processato secondo la legge o Varrone fosse veramente console e quella fosse una repubblica, si radunano i senatori mentre l'imputato taceva o, se tentava di difendersi, non teneva nascosto dall'odio di chi egli fosse oppresso. Li accusavano, lui di aver a lungo nascosto i propositi di Sacroviro per connivenza nella rivolta e di aver macchiato con la sua avidità la vittoria, e la moglie di complicità. Nè certamente si esimevano del reato di concussione, ma tutti i capi d'accusa vennero fatti valere come accusa di lesa maestà e Silio volle prevenire l'imminente condanna uccidendosi. 

Testo originale

Erat uxor Silio Sosia Galla, caritate Agrippinae invisa principi. hos corripi dilato ad tempus Sabino placitum, immissusque Varro consul qui paternas inimicitias obtendens odiis Seiani per dedecus suum gratificabatur. precante reo brevem moram, dum accusator consulatu abiret, adversatus est Caesar: solitum quippe magistratibus diem privatis dicere: nec infringendum consulis ius, cuiusvigiliis niteretur ne quod res publica detrimentum caperet. proprium id Tiberio fuit scelera nuper reperta priscis verbisobtegere. igitur multa adseveratione, quasi aut legibus cum Silio ageretur aut Varro consul aut illud res publicaesset, coguntur patres, silente reo, vel si defensionem coeptaret, non occultante cuius ira premeretur. conscientia belli Sacrovir diu dissimulatus, victoria per avaritiam foedata et uxor socia arguebantur. nec dubie repetundarum criminibus haerebant, sed cuncta quaestione maiestatis exercita, et Silius imminentem damnationem voluntario fine praevertit.

 

La spartizione dei beni dell'imputato ( Liber IV, 20 )

Ci si accanì, tuttavia, contro i suoi beni, non perchè il denaro fosse restituito ai popoli tributari, nessuno dei quali lo reclamava, ma furono richiesti indietro tutti i doni che aveva ricevuto dall'imperatore, dopo aver contato in modo molto preciso quanto spettasse al fisco. Quello fu il primo gesto di cupidigia da parte di Tiberio nei confronti del denaro altrui. Sosia fu mandata in esilio secondo il parere di Asinio Gallo, che aveva proposto che una parte dei suoi beni venisse messa all'asta e che una parte fosse lasciata ai figli. Al contrario Manio Lepido decretò che la quarta parte fosse concessa agli accusatori come voleva la legge e che il resto fosse lasciato ai figli. Io trovo che questo Lepido, in rapporto a quei tempi, fosse un uomo serio ed avveduto: infatti modificò in meglio la maggior parte delle crudeli proposte che nascevano dalle adulazioni degli altri. Nè aveva bisogno di far uso di moderazione, dato che godette di favore e prestigio costanti presso Tiberio. cosicché sono costretto a dubitare se, come (accade) per ogni altra cosa, anche il favore dei regnanti verso costoro e l'avversione nei confronti di questi altri dipenda dalla sorte e dalle condizioni di nascita, oppure sia merito del nostro corretto operare e sia consentito, fra una rovinosa opposizione ed un degradante servilismo, percorrere una strada libera da pericoli ed intrighi. Messalino Cotta, invece, di antenati non meno illustri, ma di tutt'altra indole, espresse il parere che occorresse deliberare con un senatoconsulto che i magistrati, benchè incolpevoli ed ignari delle colpe commesse da un altro, scontassero la pena per i crimini commessi dalle loro mogli nelle province come se li avessero commesse essi stessi.

Testo originale

Saevitum tamen in bona, non ut stipendiariis pecuniae redderentur, quorum nemo repetebat, sed liberalitas Augusti avulsa, computatis singillatim quae fisco petebantur. ea prima Tiberio erga pecuniam alienam diligentia fuit. Sosia in exilium pellitur Asinii Galli sententia, qui partem bonorum publicandam, pars ut liberis relinqueretur censuerat. contra M'. Lepidus quartam accusatoribus secundum necessitudinem legis, cetera liberis concessit. hunc ego Lepidum temporibus illis gravem et sapientem virum fuisse comperior: nam pleraque ab saevis adulationibus aliorum in melius flexit. neque tamen temperamenti egebat, cum aequabili auctoritate et gratia apud Tiberium viguerit. unde dubitare cogor fato et sorte nascendi, ut cetera, ita principum inclinatio in hos, offensio in illos, an sit aliquid in nostris consiliis liceatque inter abruptam contumaciam et deforme obsequium pergere iter ambitione ac periculis vacuum. at Messalinus Cotta haud minus claris maioribus sed animo diversus censuit cavendum senatus consulto, ut quamquam insontes magistratus et culpae alienae nescii provincialibus uxorum criminibus proinde quam suis plecterentur.