Pirandello

Enrico IV

Della pazzia, ovvero della normalità

    L’Enrico IV è un testo veramente sorprendente, che rivela tutta la complessità del rapporto fra verità e finzione nell’universo pirandelliano . La vicenda narrata nell’opera, infatti, trova il suo centro strutturale proprio in quella pazzia che tante volte è stata protagonista dei capolavori del genio teatrale di Pirandello .

Un giovane nobile, durante una cavalcata in maschera, cade da cavallo mentre sta impersonando il  personaggio di Enrico IV, battendo violentemente la testa . Risvegliatosi dopo essere stato a lungo svenuto, crede di essere veramente l’imperatore di Germania e parenti ed amici, per assecondarlo, allestiscono la sua villa come fosse la reggia del sovrano, ingaggiando persino dei giovani che svolgano il ruolo di consiglieri e valletti prestandosi al gioco .

Dopo venti anni, però, si presentano in visita la marchesa Matilde Spina, amata da “Enrico IV” prima della caduta da cavallo, la figlia di lei, che assomiglia in modo impressionante alla madre come appariva venti anni prima, Tito Belcredi, che è diventato l’amante della marchesa, ed il fidanzato della figlia  La marchesa ha portato con sé  il dottor Genoni, che, travestito da Ugone di Cluny per non insospettire il  “malato”, lo visita e si accorge che non è del tutto pazzo ; per svegliarlo definitivamente dal sonno della mente che ancora lo tormenta, decide allora di  inscenare una farsa : la marchesa, sua figlia, Belcredi ed egli stesso andranno a visitare tutti insieme Enrico IV per guarirlo definitivamente, travestiti con gli stessi costumi che avevano indossato alla cavalcata in maschera di venti anni prima (la marchesa con il costume di Matilda di Canossa, il dottore nuovamente indossando i panni dell’abate di Cluny, Belcredi travestito da frate...).

Il dottore non aveva errato nella sua diagnosi : appena si conclude la visita dei  “graditi ospiti”, Enrico IV, rimasto solo con i suoi consiglieri, rivela loro la verità, sfilandosi significativamente il mantello di re, maschera della sua pazzia . Dopo essere stato realmente pazzo per dodici lunghissimi anni - racconta - tornato improvvisamente alla realtà, fu  sconcertato dai cambiamenti trascorsi e gli parve che i suoi capelli bianchi ( diventati bianchi mentre non viveva la sua vita ) e l’amara scoperta che la sua amata, la marchesa Matilde, aveva un nuovo amante, Belcredi, fossero ragioni più che sufficienti a non lasciargli altra possibilità che fingere per altri otto anni di essere l’Enrico IV che tutti ormai credono che egli pensi di essere.  

Inconsapevole di questa tremenda realtà, il dottore progetta di farlo rinsavire facendogli comparire davanti la figlia della marchesa, che assomiglia in modo impressionante a come la madre, che Enrico amava prima di cadere da cavallo, appariva venti anni prima . Seccato da questa ennesima farsa e deciso a togliersi ormai la sua maschera di pazzia, quando Frida ( la figlia ) reciterà la sua parte di Matilde di Canossa, fingendo di essere la madre, Enrico IV scoprirà le sue carte lanciando pesantissime accuse a Belcredi, accusandolo di aver appositamente fatto imbizzarrire il suo cavallo per poi rubargli la donna amata . Quando Belcredi, dato che la situazione sta rapidamente degenerando, tenta di sottrarli dalle braccia Frida, Enrico IV, estraendo dal fodero la spada di uno dei suoi servitori, lo uccide . Poi, raccolti a sé i suoi servitori, si richiude nella sua oasi di follia, dove nessuno potrà accusarlo, perché è “pazzo”, mentre Belcredi, ferito a morte, urla disperatamente : “No ! Non sei pazzo ! Non è pazzo ! Non è pazzo !”.

L’Enrico IV è un testo molto denso, che esprime la convinzione che tutti siano pazzi e che la pazzia sia una scelta quasi obbligata dalla necessità di avere un posto in un mondo che non è fatto per noi : non a caso Enrico IV affermerà, parlando con i suoi servitori, di aver finto di essere ancora pazzo perché, rinsavito, aveva scoperto amaramente di essere arrivato “con una fame da lupo ad un banchetto già bell’e sparecchiato”, riferendosi a quei dodici anni mai esistiti per lui e goduti dagli altri . La decisione, dunque, di ritornare nel limbo - prigione della pazzia è dettata dalla constatazione che nel mondo non c’è più posto per lui . Enrico IV, così, si può leggere come la tragedia dell’emarginazione umana in un alternarsi conscio di finzioni che coinvolge lo spettatore come di fronte ad un gioco di specchi .

Il dramma della tragedia scoppia quando Enrico IV, dopo anni di follia, prende coscienza di sé stesso e si scorge dietro la maschera dell’imperatore : la rivelazione è sconvolgente, ma non ci sono possibilità di uscita o di riscatto .

Maurizio Scaparro, il regista di questa versione dell’Enrico IV andata in scena al Teatro Nuovo, afferma di aver cercato di affrontare “il classico con gli occhi del contemporaneo ed il contemporaneo con gli occhi del classico, perché questo testo sacro di Pirandello contiene tutti e due questi sguardi, uniti alla ricerca quasi costante, tragica, della parola ‘amore’, quasi mai pronunciata, ma sempre sottesa a tutto il teso”. Enrico IV sceglie la strada stretta e difficile di vivere in un lucida diversità, in sospensione fra normalità e follia, confine sottilissimo che, alla fine di questo millennio, comporta sempre di più l’emarginazione del diverso : confine che supera i limiti del palcoscenico per diventare segno distintivo di “un rifiuto tragico e sublime di quella parte di umanità che respinge la parola ‘amore’ ”.

Nella versione proposta di Scaparro, tutto si appoggia sulle grandissime qualità di Glauco Mauri, il bravissimo interprete che ha dato una delle prove più alte prove della sua carriera, creando un Enrico straziato e lacerato dalla solitudine, ma anche forte, risentito, amaro e disperatamente attaccato alla vita che non ha vissuto, dimostrando di “essere il più completo ed autorevole interprete del nostro teatro, certamente il più ricco di cultura e di senso della missione teatrale” .

Citando Brecht (‘Tutte le arti contribuiscono all’arte più grande di tutte : l’arte di vivere"), Glauco Mauri ricorda che il teatro serve alla vita : è necessario a scuotere la pigrizia degli uomini ed il loro essere indifesi verso la banalità che dilaga.

Mauri racconta che la follia del protagonista pirandelliano è complessa e dolorosa nella sua necessità . “E’ un personaggio - spiega - ricco di interrogativi e per interpretarlo occorre una ricchezza non solo tecnica ma anche umana . Mi ha commosso il dolore di Enrico IV per la vita non vissuta, quella disperata tranquillità che poi diventa rabbia quando l’equilibrio trovato attraverso la pazzia va in frantumi alla ricomparsa della donna amata venti anni prima” .

L’attore conclude il suo personale commento affermando di aver evitato di recitare in modo “pirandelliano”, proprio per far lievitare tutti gli aspetti dell’Enrico IV in una sintesi emozionante, perché, “per me il teatro è il luogo delle grandi emozioni”.

Andrea Zoia