Il tema dell'ulivo

 

    Per quale motivo Omero volle inserire questi due temi nell’episodio del Ciclope? Escluso, dunque, che Omero stesso ne sia l’inventore, dobbiamo presumere che egli li abbia desunti da una tradizione estranea al particolare episodio narrato e che abbia deciso di assemblarli nella storia. Notiamo che quando Odisseo parte per l’antro del Ciclope con i suoi dodici compagni Omero dedica ben 17 versi a descrivere l’otre di vino di Ismaro, donato da Marone, sacerdote di Apollo, che Odisseo si accinge a portare con sè: è un topos frequente in tutta l’epica, è la presentazione della storia di un oggetto, con il tentativo di nobilitarlo in vista dell’importante funzione che dovrà svolgere in seguito.

    Anche il tronco usato da Odisseo per accecare Polifemo costituisce un particolare curioso che dà credito all’ipotesi che per tutto l’episodio del Ciclope Omero abbia in realtà attinto a fonti della tradizione popolare più antiche. Il Ciclope, infatti, disponeva di uno spiedo – nelle versioni folkloriche dell’episodio – per arrostire le sue vittime, mentre Odisseo sceglie un palo di legno d’ulivo acuminato ed indurito nel fuoco per perforargli l’unico occhio; Omero, invece, sopprime lo spiedo: potremmo supporre che nell’episodio dell’Odissea il Ciclope divori crude le sue prede, tuttavia ci sono delle braci nell’antro, ed Odisseo le utilizza per arroventare il suo tronco acuminato, come si farebbe in realtà proprio con uno spiedo. Inoltre sappiamo, dal Ciclope di Euripide e da testimonianze quali un’anfora del V secolo, che i compagni di Odisseo venivano arrostiti nell’antro – come li vediamo rispettivamente rappresentati e raffigurati – e non mangiati crudi. Possiamo allora concludere che anche il palo di ulivo sia un’invenzione di Omero, forse con lo scopo “di contestualizzare ... [ questo ] elemento nella cornice dell’Odissea. L’ulivo, sacro ad Atena, cioè la dea che vigila sul ritorno in patria dell’eroe,  ricompare più volte all’interno del poema: è di ulivo il manico della scure con cui Odisseo si intaglia la barca per fuggire dall’isola di Calipso (vv. 233-237, libro V):

Per Odisseo magnanimo, poi, preparò la partenza.

Gli diede una gran scure, ben maneggevole,

di bronzo, a due tagli: ed un manico c’era

molto bello, di ulivo, solidamente incastrato.

Gli diede anche un’ascia lucida e gli insegnava la via

Verso l’estremo dell’isola, dove c’erano gli alberi alti,

lei tornò a casa...

Sotto un ulivo si ritrova Odisseo quando scampa ad una tempesta scatenata da Poseidone ed approda sull’isola dei Feaci (vv. 476-482, libro V):

... questa, però, pensando, gli parve la miglior cosa.

E mosse verso la selva: la trovò non lontano dall’acqua,

su una piccola altura; si infilò sotto un doppio cespuglio,

cresciuto insieme da un ceppo d’olivo e d’oleastro ...

... e sotto questi [ rami ] Odisseo si sistemò.

    Ancora un ulivo è testimone dell’incontro tra Atena ed Odisseo per progettare il massacro dei Proci (vv. 372 – 373, libro XIII):

Poi i due, seduti ai piedi del sacro ulivo,

meditavano la morte dei contendenti superbi.

    Infine l’anagnwrisis (riconoscimento)  di Penelope è ancora legato ad una pianta di ulivo (vv.190 e segg. , libro XXIII):

C’era un tronco ricco di fronde, d’ulivo, dentro il cortile,

florido, rigoglioso; era grosso come una colonna:

intorno a questo murai la stanza, finchè la finii,

con fitte pietre e di sopra la coprii per bene,

robuste porte ci misi, saldamente connesse

... e poi troncai la chioma, ne lavorai un sostegno,

e, cominciando da questo, preparavo il letto,

ornandolo d’oro, d’argento e d’avorio.

Ecco, questo segreto ti ho detto: e non so,

donna, se ancora intatto è il mio letto, o se ormai

qualcuno l’ha mosso, tagliando da sotto il piede d’ulivo.

Così [ Odisseo ] parlò, ed a lei [ Penelope ] di colpo si sciolsero le ginocchia ed

il cuore, perchè conobbe il segno sicuro che Odisseo le diceva.

    L’episodio dell’accecamento presuppone che il Ciclope abbia un solo occhio, tuttavia Omero non ci dice nulla in proposito, anzi è Esiodo (Teogonia, vv. 143 e segg.) che ci informa che i Ciclopi possiedono un unico occhio e che inoltre il nome stesso “Ciclope” deriva dal fatto di avere un solo occhio tondo. Per Esiodo, quindi, in nome “ciclope” sarebbe una sorta di onoma epwnumon, e cioè significherebbe “dall’occhio rotondo”. Molti tentativi di interpretazione etimologica sono stati forniti, alcuni anche molto suggestivi: alcuni suggeriscono che il termine kuklos alluda alla ruota o cerchio del sole; altri affermano che il nome ciclope derivi da pku clops, a sua volta da *pecu clops, cioè ladro di bestiame. Altri ancora dicono da kuklos kloj, cioè “colui che ruba il sole, ovvero il demone della tempesta. Il fatto che Omero non accenni minimamente al fatto che Polifemo possieda un solo occhio viene attribuito alla “tendenza razionalizzante dell’epos”, che tende ad eliminare qualsiasi elemento teratologico.

    Resta infine da esaminare l’episodio della fuga di Odisseo dall’antro nascosto sotto il vello del montone: nel racconto folklorico, usualmente l’eroe si traveste indossando una pelle di pecora e si mescola al gregge che esce dalla grotta al pascolo; Page ( The Homeric Hodissey ) fa giustamente notare che la trovata di Odisseo per riuscire ad abbandonare l’antro “sia più logica rispetto al racconto tradizionale”, perchè non sarebbe più possibile per l’eroe trovare una pecora, scuoiarla e poi rivestirsi della sua pelle.

L’intero episodio del Ciclope, dunque, avrebbe subito una sorta di “risemantizzazione”, ovvero Omero avrebbe attribuito nuovi significati ad episodi mutuati da tradizioni preesistenti e non più comprese, non diversamente da quanto accade nell’Iliade, dove gli eroi si recano al campo di battaglia sul carro da guerra, per poi discendervi per iniziare il combattimento. Nell’antichità cui si fa risalire il mito della guerra di Troia, infatti, i carri – ignoti ad Omero, vissuto in un’epoca successiva – venivano usati direttamente nei furiosi combattimenti, ma il poeta, pur ereditando dalla tradizione precedente il fatto che fossero presenti sul campo di battaglia, vi attribuisce un utilizzo non corretto. Il rivestimento con la pelle, in particolare, sembra poter essere – nel mito originario – una forma di rito iniziatico, non più compreso ai tempi di Omero, che finì col razionalizzarlo, cambiando la versione originale e facendo fuggire Odisseo nascosto sotto il vello del montone. A questo proposito, è interessante notare che in molte raffigurazioni che ritraggono la fuga di Odisseo l’eroe sembra proprio ricoperto dalla pelle di una pecora, con solamente il volto visibile, rivolto a terra.

Andrea Zoia

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