Le culture orali

 

    Recentemente le culture orali, grazie soprattutto all’indagine di Parry e Lord, sono state approfonditamente studiate e ne sono stati evidenziati i tratti salienti: lo stile è paratattico, secondo uno schema “aggregativo piuttosto che analitico”, ed è abbondante l’uso di formule. Una caratteristica peculiare delle culture orali, che ben possiamo ritrovare in Omero, come abbiamo fatto notare, è l’impiego delle parole con finalità magiche. La parola, presso le culture orali, infatti, “esiste come suono e non come grafia”, come fa giustamente notare Bertolini, e si privilegia il suo valore dinamico (può produrre un risultato) e di suono. Non è un caso che l’ebraico “dabar” significhi al contempo “parola” ed “evento” ed il celtico “runa” è la parola che crea e distrugge.

Questo valore magico della parola è attestato anche nei poemi omerici: Odisseo, ferito in occasione di una battuta di caccia sul monte Parnaso, viene curato con un canto magico (epaoidh), come leggiamo in Od. XIX, 457-458.

    Un significativo esempio – che rivela al contempo quanto certi nuclei tematici dei poemi omerici siano in realtà comuni ad altre antiche saghe e come Omero, riprendendoli ed adattandoli, spesso ne abbia travisato l’originale significato – è la costruzione dell’imbarcazione da parte di Odisseo: l’episodio è raccontato anche nel Kalevala, una saga finnica, a proposito dell’eroe Väinämöien, che si accinge ad approntare la sua barca mediante un canto magico. Per Odisseo, al contrario, la costruzione di un’imbarcazione (Od. V, 234-262) è un faticoso e minuzioso lavoro, senza aiuti esterni – Calipso interviene solamente per procurargli una scure ed il necessario per le vele – e soprattutto senza un’opera magica a facilitarne il duro compito.

    Un’altra caratteristica peculiare delle culture orali è il tono agonistico, lo scontro verbale, cui si dà nome di flyting. E’ notevole che, di nuovo, questo tratto – che per W.J. Ong è veramente distintivo di una cultura orale – si ritrovi spesso nei poemi omerici, soprattutto nell’Iliade, come nello scontro tra Sarpedonte e Tlepolemo, preceduto, prima che i contendenti vengano alle armi, da un violento scambio di insulti. Ritroviamo anche in questo contesto l’uso della parola con valore magico: la parola, infatti, viene scagliata come un’arma contro l’avversario, con la speranza di colpirlo. Significative le parole di Ettore rivolte contro Achille in Il. XX, 431-433.

    “Conosco anch’io gli insulti”, dice Ettore. Sicuramente retaggio di questo valore magico delle parole – che pure, divenuto elemento stereotipato di scambio di offese verbali prima del duello vero e proprio, si è notevolmente indebolito nei poemi omerici – è la tipica espressione epea pteroenta, cioè parole alate come frecce. Di solito l’aggettivo viene impiegato nel testo omerico per riferirsi alla piume aggiunte ai dardi per aumentarne la stabilità in volo, quindi sembra evidente il significato da attribuire all’espressione: le parole vengono scagliate come frecce per colpire l’avversario. Questa tesi, inoltre, può essere confermata se si osserva che il verbo più frequentemente impiegato per l’“emissione” delle parole è il medesimo impiegato nell’accezione di “scagliare”, detto di frecce.

    Dobbiamo immaginare che, all’interno di una società caratterizzata dalla trasmissione orale, il cantore non riproduca mai due volte esattamente il medesimo testo tramandato, ma che quest’ultimo venga di volta in volta ricreato e riadattato a seconda delle esigenze del cantore stesso. In questo processo il testo può anche subire delle modifiche radicali quando il cantore è costretto ad alterarlo per soddisfare le preferenze del suo pubblico od un mutato contesto storico e sociale che renda obbligatorio elogiare un ceto piuttosto che un altro, pur dovendo sempre fare i conti con la tradizione che sta alla base del poema stesso, che non può essere completamente stravolto. A questo peculiare fenomeno si dà il nome di “omeostasi”, termine introdotto da Goody e Watt (Goody, Watt. The consequences of literacy, in Literacy intraditional societies, Cambridge University Press ) ed ispirato all’omonimo fenomeno biologico. Quindi il testo tradito non viene mai recitato nella medesima forma, ma, a partire dalla tradizione, subisce mutazioni ed innovazioni continue sia nella lingua, che nello stile e persino nelle tematiche. A questo proposito Lord parla, per la trasmissione di questi testi, di un processo di remembering più che di memorization: il cantore, secondo la sua opinione, non ha un testo fisso in mente, ma una sorta di “traccia” che viene plasmata ogni volta dal suo spirito creativo, agevolato in questo compito dall’uso delle formule, che consentono di improvvisare con più facilità; in altre parole, la tradizione viene conservata “attraverso la continua ri-creazione di essa”: il rapsodo etimologicamente (raptw) è colui che cuce ed assembla gli episodi che la tradizione conserva.

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