I poemi omerici e la scrittura

    

    Il Wolf, nell'ambito della questione omerica, era giunto alla conclusione, nei suoi Prolegomena ad Homerum, che ai tempi di Omero la scrittura fosse ancora sconosciuta, adducendo come prova i seguenti fatti: all'interno delle opere omeriche non v'era alcun accenno nè a Cadmo nè al suo dono prezioso, nessun accenno ai termini "libro", "lettere", "lettura" nè "scrittura". Nulla nell'opera, affermava il Wolf, era predisposto per la lettura, anzi tutto risultava decisamente votato all'ascolto. 

    D'altra parte, esistono due passi dell'Iliade che fanno sorgere agli studiosi il sospetto che la scrittura non fosse ignota all'autore dell'opera. Il primo dei passi in questione è incluso nella storia che Glauco racconta a Diomede - i due si stanno per affrontare a duello e vogliono conoscere i rispettivi antenati - a proposito del suo antenato Bellerofonte e riguarda la lettera di Preto (Il. VI, 144-202). Mentre Bellerofonte si trovava ospite del re argivo Preto, Antea, la sposa di quest'ultimo, si invaghisce di Bellerofonte ma ne viene respinta. Allora, sdegnata e desiderosa di vendicarsi, lo accusa presso il marito di averla insediata e ne domanda la morte. Tuttavia, Preto, che era intenzionato a dare a Bellerofonte la giusta punizione, ma che aveva paura di ucciderlo, decise di inviarlo in Lidia presso suo suocero, dopo avergli consegnato una tavoletta sulla quale aveva tracciato shmata lugra, ovvero "segni funesti". Il suocero di Preto ospitò Bellerofonte, dopo averlo accolto in amicizia, per 9 giorni, poi, al decimo, quando si fece mostrare la tavoletta, lo sottopose a tre prove: Bellerofonte dovette dapprima affrontare ed uccidere la Chimera, il mostro con testa di leone, coda di serpente, corpo di capra e soffio di fuoco. Poi dovette avere la meglio sui bellicosi Solimi, un popolo guerriero, ed infine dovette uccidere le Amazzoni. Superate tutte e tre le prove, Bellerofonte riuscì ad avere in sposa la figlia di Preto. Come è evidente, il problema che ha sollevato la curiosità degli studiosi sull'esistenza della scrittura al tempo della composizione dell'opera è nel verso in cui si dice (ibidem, VI, 168-169) che Preto "gli affidò segni funesti, incidendo su una duplice tavola molti presagi di morte". 

    Gli scolii all'Iliade si mostrano divisi sul significato che si possa attribuire al controverso termine shmata. Per alcuni degli scoliasti avrebbe il valore di eidwla, cioè figure, per altri grammata, ovvero lettere dell'alfabeto. Il riferimento anche al materiale tipicamente usato proprio per la scrittura, ovvero la pinax cui si accenna nel passo citato, induce a pensare che i "segni" di cui si parla siano effettivamente delle lettere e che questo distico sia una prova dell'esistenza della scrittura al tempo di Omero. Ancora più controverso e discusso è il valore che possiamo attribuire a questa testimonianza, pur accettando il fatto che si riferisca ad una forma di scrittura. Molto verosimilmente il motivo della lettera si integrava in un racconto mitico che giunse ad Omero e fu quindi rielaborato. Possiamo ipotizzare che la storia di Bellerofonte avesse origini orientali, per molteplici motivi: innanzitutto l'ambientazione in Lidia, poi il fatto che il tema della lotta contro un mostro sia attestato in Oriente fin dai tempi più remoti (III millennio a.C.); infine l'avventura di Bellerofonte contiene due nuclei folcloristici, identificabili con l'episodio della "moglie di Putifarre" (Genesi, 39, 7-20) e con la "lettera di Uria" (Samuele, II, 11) che hanno una palese provenienza orientale. Se dobbiamo credere, allora, che la storia di Bellerofonte e l'accenno alla tavola scritta giunse ad Omero dall'Oriente, evidentemente il valore probante della testimonianza verrebbe a subire un duro colpo: in altre parole, Omero avrebbe citato i "shmata lugra" solo perchè già inseriti in una storia mutuata da una tradizione preesistente, senza comprenderne appieno il significato o l'utilizzo. 

    Il secondo passo cui si fa riferimento è ancora - se possibile - più problematico, e sembra che, con molta probabilità, si debba escludere un reale riferimento alla scrittura. Si tratta di un passo del VII canto dell'Iliade, in cui Ettore lancia una sfida a scontrarsi con lui in duello che viene raccolta da nove sfidanti greci. Nestore organizza allora il sorteggio, facendo porre un segno (klhron) su una tavoletta: risulta estratto Aiace che, dopo aver visto i segni (shma) sulla tavoletta, li riconosce ed accetta il duello (Il. VII, 189). E' molto probabile, visto soprattutto il bisogno degli eroi di riconoscere i segni tracciati, che in questo caso non vi sia affatto un riferimento alla scrittura nel termine shma, e che questo si riferisca piuttosto ad una sorta di stemma personale degli sfidanti. 

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