L'abitazione a Roma: gli interni

Plastico in terracotta della casa del chirurgo a Pompei

    Nell’abitazione romana non si entrava come in quella moderna : la porta era collocata a metà del corridoio che dall’esterno conduceva all’atrium. La parte anteriore alla porta prendeva il nome di vestibulum : quello dei palazzi signorili di Roma era leggermente sopraelevato ( vi si accedeva grazie ad alcuni gradini ) ed era decorato da statue o veri e propri porticati . Le case signorili erano anche dotate di un secondo ingresso (il posticum) oltre a quello principale (ianua) : vi venivano introdotti gli schiavi ed i garzoni di bottega che recavano le consegne .

Nei tempi più antichi il cuore della casa era l’atrium - in cui veniva custodito il Lararium, un armadietto che conteneva le immagini di cera degli antenati (imagines maiorum) - nel quale veniva collocato il focolare domestico, ma presto il vero centro dell’abitazione divenne i tablinum, una grande stanza che si apriva sull’atrium, proprio di fronte alla porta di ingresso, dove era conservato l’archivio e venivano sbrigati gli affari dell’amministrazione dal padrone di casa.

Solo quando la loro civiltà divenne maggiormente raffinata i Romani presero a costruire nelle loro abitazioni i triclinia, cioè le sale da pranzo, soprattutto dopo che incominciò a diffondersi l’uso tipicamente greco di cenare sdraiati.

La cucina, a differenza del triclinio, che divenne immediatamente un locale importante ed era un locale di notevoli dimensioni, rimase sempre poco sviluppata : gli antichi Romani preparavano il loro cibo – come gli antichi Greci – all’esterno o nell’atrium e tutti gli scavi archeologici hanno confermato le modeste dimensioni dei locali adibiti a cucine, tranne nel caso particolare delle famiglie ricche, che si potevano permettere stuoli di schiavi addetti alla preparazione delle vivande, come nel celeberrimo episodio della Cena di Trimalcione descritto da Petronio nel Satyricon .

L’interno delle stanze era più o meno curato, a seconda della destinazione cui il locale era destinato e delle possibilità economiche dei proprietari : in quelle più belle, dove si ricevevano gli ospiti, erano generalmente presenti pavimenti, soffitti e pareti ornati da affreschi, mosaici o riquadri colorati.

Il soffitto delle case signorili era sovente cassettonato con intarsi, nei casi delle abitazioni più ricche, anche d’oro o d’avorio .

Il peristylium era la parte più bella della casa : consisteva  in un cortile interno circondato da un porticato (peri = intorno, stylos = colonna), attorno al quale erano distribuite le camere da letto (cubicula), la sala da pranzo, la biblioteca, la cucina stessa ( culina ) e le cellae dei familiares, cioè le stanzette degli schiavi.

Il riscaldamento era garantito da bracieri o fornelli portatili, oppure da un ingegnoso sistema – cui ho accennato in precedenza – ispirato a quello delle terme, consistente nel far circolare aria calda attraverso le intercapedini dei muri (parietes tubulati) o nello spazio vuoto sottostante la pavimentazione, che solitamente era rialzata rispetto al terreno.

L’illuminazione della casa era del tutto rudimentale : le strade erano totalmente buie durante la notte e, come si può desumere da un famoso episodio del romanzo “L’asino d’oro” di Apuleio, se ci si voleva avventurare fuori di casa oltre una certa ora bisognava essere accompagnati da una scorta di schiavi provvisti di torce per illuminare le vie.

All’interno delle abitazioni, infine, l’illuminazione notturna era garantita da lampade ad olio (lucernae), che venivano utilizzate – opportunamente schermate – per spostarsi da un locale all’altro nell’oscurità, oppure da grosse fiaccole (taedae) fissate alle pareti.

 

Andrea Zoia

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