Aristofane

Gli uccelli

    Quando, nel 414 a .C ., Aristofane portò sulle scene la sua commedia, Gli uccelli, il grande commediografo non si sarebbe mai aspettato che, più di duemila anni dopo, essa avrebbe ancora goduto di una popolarità tale da consentirle non solo di essere ricordata, ma persino di nuovo rappresentata.

Si può attribuire la conservazione delle tragedie greche al fatto che ogni epoca le ha considerate modelli perfetti ed insuperabili, cui ogni tragediografo doveva fare riferimento. Diversa invece la motivazione per cui le commedie si sono salvate. Queste opere, infatti, sebbene oggi sia difficile ricostruire con precisione come venissero rappresentate, dovevano probabilmente essere un confuso miscuglio di musica, colori e dialoghi spesso sboccati e triviali ; erano inoltre create per essere rappresentate una sola volta nel corso di feste religiose e poi dimenticate : ben poco di esse rispondeva ai canoni di equilibrio connessi al  “modello classico”.

Il merito de “Gli uccelli”, dunque, risiede nel suo essere eternamente attuale, perché rappresenta i sogni dell’uomo di sempre. Il tema trattato, infatti, è quello dell’individuo che vuole fuggire dalla propria città, perché essa è troppo corrotta. Egli cerca così scampo - nemo sua sorte contentus, diceva Orazio - in un mondo “puro”, ma, inconsapevolmente, egli finirà per votarlo allo stesso triste destino della sua patria di origine : la commedia dimostra, dunque, la futilità di ogni utopico desiderio umano.

Non è stupefacente, allora, che un’opera di questo genere possa non solo godere ancora oggi del favore del pubblico, ma anche essere riportata sulle scene in una riduzione brillante e moderna, sia nei dialoghi che nella coreografia.

La trama della commedia non è eccessivamente complessa : all’apertura del sipario si trovano sulla scena due personaggi che si autopresentano grazie ad una rapida serie di scherzose battute. Si tratta dei due protagonisti, Pistetero ed Evelpide, due Ateniesi stanchi di vivere nella propria città, opprimente per via di un’infinita serie di processi giudiziari. Essi, seguendo i consigli di due gracchi che portano con sé, hanno deciso di insediarsi nel mondo degli uccelli, l’unico lontano da noie e dispiaceri. I volatili, come è logico, aborriscono gli umani, che riescono però a farsi accettare grazie alla mediazione dell’Upupa, che, secondo il mito, era in origine un uomo (il re di Tracia Tereo), trasformato poi in un uccello. Questo “mondo alternativo” - che corrisponde al topos della commedia della “evasione totale” - inizia presto ad andare nuovamente stretto ai due protagonisti : perché accontentarsi di pace e di riposo, quando si potrebbe ottenere il dominio del mondo intero ?

Tutta questa scena risulta essere una delle più riuscite, soprattutto grazie alla interpretazione dell’attrice che impersona l’Upupa : grazie alla sua stretta parlata toscana, alla gestualità mimica velocissima ed alla sua personalità isterico-euforica  essa diventa  infatti uno dei personaggi più incisivi e comici dell’intera opera.

Nasce così dalla mente di Pistetero il folle progetto che prevede la costruzione di un’enorme città degli uccelli nel cielo, per impedire che i fumi dei sacrifici degli uomini arrivino agli dei, che se ne nutrono. Gli uccelli dapprima sono titubanti, ma, quando Pistetero ricorda loro che furono i volatili e non gli dei, i più antichi abitanti del mondo, ogni resistenza è vinta ed inizia la grande costruzione.

Proprio così si innesca il processo di corruzione : non c’è luogo in cui l’uomo, anche quando ha trovato la  pace, rinunci alla sua sete di dominio assoluto. Pistetero, assunta la direzione dei lavori, si esenta da ogni fatica, preferendo cedere il compito all’amico Evelpide.

Gli dei infuriati mandano una delegazione alla nuova città (battezzata Nubicucculia), per far desistere gli uccelli dai loro propositi. Gli uccelli, invece, consci della loro propria superiorità, non cedono ed offrono anzi ai nuovi venuti un piatto ricolmo di loro fratelli arrostiti : si tratta degli oppositori del regime, puniti secondo le ferree regole di una dittatura.

Il regista di questa riproposizione teatrale, Gabriele Vacis, sottolinea il distacco tra uomini e dei, sostituendo le voci di questi ultimi con suoni di tromba : queste entità divine sono viste molto lontane, indifferenti ai drammi umani e, soprattutto, totalmente incomprensibili.

La delegazione, formata da Poseidone, Eracle e Triballo (una divinità straniera, che parla una lingua stranissima), ascolta la volontà degli uccelli, istigati da Evelpide e Pistetero : gli abitanti di Nubicucculia diverranno esecutori diretti della volontà di Zeus, ma il padre degli dei, se vorrà di nuovo godersi i deliziosi profumi dei sacrifici, dovrà acconsentire al matrimoni di Pistetero con Basileia, la donna depositaria dei fulmini, simbolo del potere assoluto.

La commedia si chiude con la parata trionfale dei due protagonisti, ora assisi sul trono della nuova città.

Questa riduzione teatrale, pur fra alti e bassi (le gag a volte lasciano a desiderare ed a tratti l’opera perde il suo tono brillante e scade di qualità), è, nel complesso, sicuramente riuscita : il suo merito consiste proprio nell’aver compreso l’intento comico di Aristofane ed averlo trasposto in chiave moderna.  Se, ad esempio, possono scandalizzare lo spettatore moderno certi espliciti riferimenti  alla politica attuale, presenti in numerose scene, è sufficiente ricordare quanta satira politica fosse presente proprio nelle commedie di Aristofane e come, dunque, Vacis non abbia fatto altro che riadattare, ma non travisare, il significato originale dell’opera.

Suona molto amara l’ultima battuta di Evelpide, mentre i due protagonisti sono assisi sul trono ed osannati da folle di uccelli per i loro grandi meriti: “Pistetero, torniamo a casa ?”. L’uomo, infatti, sognando un mondo nuovo, utopico e perfetto e desiderando sfuggire alla scomoda realtà quotidiana, ha invece  finito per ricreare se stesso, i suoi torti, le sue ingiustizie e la sua sete di dominio assoluto, corrompendo così il paradiso, un tempo felice e pacifico, degli uccelli.

 

  Andrea Zoia