La guardia

 

La guardia era stata posta a custodire il corpo di Polinice perché nessuno gli desse sepoltura contravvenendo l’ordine di Creonte. Conosce bene le ire del sovrano e deve quindi avvertirlo quando qualcuno gli ha dato sepoltura: per strada si ferma a lungo a pensare ed afferma di essere stato più volte sul punto di ritornare indietro per la paura. Sa che verrà punito per la propria disattenzione (nessuna delle guardie si è accorta di nulla) e cerca dunque di scaricare la propria responsabilità su altri (238).

Come già il nunzio ed il corifeo, anche la guardia riferisce ciò che sulla scena non si è visto: il corpo ricoperto di terra, le sentinelle che si rimproverano a vicenda, la decisione concitata di riferire l’accaduto al sovrano. “Nessuno ama chi riferisce disgrazie” (277) – esclama la guardia impaurita al pensiero della reazione di Creonte. Ma poco dopo ha il coraggio di stuzzicare il sovrano: “e il fastidio dove ti punge, nell’orecchio o nell’anima? Il colpevole ti tormenta l’animo, io l’orecchio” (318).

Più tardi la guardia torna in scena baldanzosa, trascinando Antigone e raccontando come si è giunti alla scoperta del colpevole della violazione delle leggi divine: l’episodio, nella sua vivida descrizione, appare chiaro davanti agli occhi del pubblico. La guardia, per il suo peculiare linguaggio troppo confidenziale nei confronti del re, è ben delineata da Sofocle come personaggio “popolare” rispetto agli altri più nobili protagonisti della tragedia.

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