Caio Giulio Cesare

 

    TRADUZIONI

        Caio Giulio Cesare nacque a Roma da nobile famiglia nel 100 o, secondo altri pareri, nel 102 a.C. Nel periodo che passa da questa nascita all'inizio del suo cursus honorum Roma si trovava completamente immersa in una serie di rivolgimenti che finirono in ultima analisi per cambiarne completamente il volto, tanto all'esterno ( guerra sociale, campagna contro Mitridate, conquista della Spagna, guerra servile ) quanto all'interno ( conflitto civile tra Mario e Silla ed ascesa poi del grande Pompeo, che si assicurò l'approvazione di Roma attraverso una lunghissima serie di brillanti successi militari ). Il suo legame di parentela con esponenti del partito democratico, Mario e Cinna, lo rese inviso a Silla. Tuttavia, dopo la scomparsa di quest'ultimo nel 78 a.C., Cesare fece ritorno a Roma dall’Asia, dove aveva prestato il servizio militare, e poté dare avvio alla sua carriera di avvocato e di politico: nel 77, ad esempio, sostenne l’accusa di concussione contro l’ex console Gneo Cornelio Dolabella, che apparteneva al partito di Silla. 

    Nel 76 Cesare si recò a Rodi appositamente per ascoltare le lezioni del celebre oratore Apollonio Molone ( che fu anche maestro di Cicerone ed era di tendenze atticizzanti ). Negli anni precedenti, Cesare aveva già avuto come maestro di grammatica Antonio Gnifone, un liberto di origine gallica. Nel 68 a.C. venne eletto questore e con questo incarico si recò nella Spagna Ulteriore. Divenuto edile nel 65 ( in questa occasione ebbe l'ardire di far rimettere in piedi la statua del popolare Mario sul Campidoglio, abbattuta al tempo delle proscrizioni ), sposata ormai la causa dei populares, Cesare puntò a guadagnarsi il favore del popolo arricchendo Roma di monumenti e giardini ed organizzando giochi e spettacoli pubblici. Pontefice massimo nel 63, si adoperò per salvare dalla condanna a morte i Catilinari, proposta che tuttavia gli procurò l’inimicizia di Cicerone - che si era appunto schierato a favore di una condanna esemplare di questi ultimi, ai limiti della legalità - ed il sospetto di connivenza e favoreggiamento nei confronti di Catilina.

    Pretore nel 62 e propretore nel 61 nella Spagna Ulteriore, tornato a Roma si accosta poco a poco a Pompeo e con lui e Crasso stipula, nel 60 a.C., un accordo segreto noto con il nome di "primo triumvirato" ( riconfermato poi nel 56 al convegno di Lucca ). Il rapporto diretto con gli altri due signori di Roma mette in maggiore evidenza le sue doti straordinarie di politico che, come osserva J. Carcopino, "pur vivendo in ambiente infuocato dalla faziosità e dalla partigianeria, non si fa schiavo degli interessi di parte, non ha appetiti da soddisfare, rancori personali da sopire, ma solo idee da realizzare". 

    Il triumvirato segnò a tutti gli effetti la fine dell'era repubblicana di Roma e l'aprirsi di una fase di transizione che portò in pochi anni e grazie alle manovre di personaggi di elevatissimo spicco quali lo stesso Cesare, Pompeo e poi Antonio ed Ottaviano all'avvento del principato come forma di governo: i tre si assicurarono tre proconsolati ( rispettivamente Gallie a Cesare, Spagna a Pompeo e Siria a Crasso ) eccezionali per la durata, per il numero delle province e per la quantità e qualità delle truppe che ebbero a disposizione. Ognuno dei tre avrebbe potuto sicuramente, al comando del proprio esercito, sbarazzarsi dei colleghi ed imporre il proprio dominato a Roma.

    A Cesare in particolare il governatorato delle Gallie “diede la possibilità di guadagnarsi una reputazione militare, un esercito devoto alla sua persona, risorse materiali senza limiti; e crea, intorno al suo capo, l'aureola di successore di Mario nel grande compito di distruggere i barbari occidentali che minacciano Roma” ( R. Rostovtzev ). Dopo il consolato del 59, nel 58 a.C., prendendo a pretesto alcune incursioni germaniche nella provincia romana, che avevano causato a loro volta lo spostamento di ingenti masse di Galli scacciati dalle proprie terre verso il territorio soggetto al controllo romano, Cesare diede inizio alla campagna di Gallia. 

    L'impresa, contrassegnata da vicende memorabili, da molti successi parziali e da pochi rovesci, come racconta Cesare stesso nei Commentarii de bello Gallico, terminò poi nel 50 con la conquista di tutta la vasta regione: gli enormi vantaggi che derivano a Roma da questa impresa furono talmente evidenti da ridurre al silenzio anche chi ( come ad esempio Catone ) osteggiava Cesare e gli rimproverava sempre la gratuità di tutta la campagna militare in Gallia, lo sperpero di mezzi e di energie, la smodata sete di potere, l'indifferenza per i patimenti dei soldati romani e per le carneficine dei barbari. 

    Naturalmente il prestigio militare e politico raggiunto da Cesare non poté che suscitare enormi preoccupazioni e timori all'interno degli ambienti aristocratici e conservatori, che, per proteggersi da supposte mire egemoniche, decisero di eleggere a proprio paladino Pompeo. L'attrito tra i due triumviri, morto ormai Crasso nel 53 a.C. a Carre in una celebre battaglia durante la sfortunata guerra contro i Parti, finì per scoppiare clamorosamente nel 49 a.C., allorché il senato decise con un decreto che Cesare dovesse abbandonare il governatorato delle Gallie e congedare le proprie truppe. 

    Cesare decise a questo punto di disobbedire al Senato e di giocarsi il tutto per tutto: attraversato il fiume Rubicone, che segnava il confine della provincia Italia, nella quale era vietato entrare in armi, ha inizio la guerra civile che durerà sino alla battaglia di Farsalo, combattuta nel 48. Sconfitto infine Pompeo, che muore assassinato a tradimento da Tolomeo in Egitto, il grande condottiero rifinisce la sua opera con la guerra cosiddetta alessandrina ( 48 - 47 a.C. ), con la campagna d'Africa ( memorabile per il suicidio di Catone ad Utica e terminata con la vittoria di Tapso nel 46 ) e con quella di Spagna ( terminata con la vittoria di Munda nel 45 ). 

    Rientrato dunque a Roma da padrone assoluto della scena politica, Cesare provvede ad avviare una serie di riforme politiche, amministrative e sociali che subito appaiono rivoluzionarie. La nomina a dittatore a vita ( tributatagli nel 44 a.C. ), assolutamente non sollecitata ma volentieri accolta, è l'episodio che segna ufficialmente il tramonto della repubblica. Anche la sua opera di brillante riformatore politico è distinta dal senso delle reali opportunità che avevano palesemente ispirato le sue imprese militari. Il successo che non gli mancò di certo nei primi tempi di tale riforma si dovette senza dubbio al suo tentativo di rappacificazione delle parti, perseguita con una cosciente politica di “clemenza”, quest'ultima essendo una netta differenziazione che egli stesso volle proporre rispetto al suo predecessore nello stesso ruolo, cioè Silla.

    Il dibattito sul fatto che egli, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali, si proponesse di autoproclamarsi monarca assoluto - fatto del resto aborrito dalla gente di Roma, memore ancora del periodo regio delle origini - è ancora aperto. Si riconosce tuttavia che alla base di ogni sua iniziativa intesa a riorganizzare lo Stato stette indubbiamente soprattutto l'esigenza di assicurare la pace, realizzando un programma di giustizia sociale ispirato non ai principi della sopraffazione degli uni sugli altri, ma alla concordia delle classi e all'equilibrio dei poteri. 

    La prima riforma che Cesare volle adottare consisté nell'allontanamento dal corpo senatorio di quanti fossero implicati in illeciti finanziari od accuse di concussione: provvide al contempo però ad accrescerne notevolmente il numero dei membri con l'apporto di personaggi del ceto equestre e anche di plebei elevati al rango di patrizi grazie alla lex Cassia. Non è difficile intravedere in quest'abile mossa un metodo neppure tanto celato di ottenere un buon numero di clientes fidati all'interno delle file senatorie, in modo da condizionare indirettamente l'esito delle votazioni. 

    In veste di “prefetto dei costumi”, poi, Cesare frena con particolari leggi suntuarie il lusso di pochi che - a suo dire - offendeva la massa dei nullatenenti, a favore dei quali volle intervenire con leggi riguardanti i debiti e gli affitti e con periodiche elargizioni di grano. Queste ultime, in particolare, diffuse praticamente da sempre come pratico modo di guadagnarsi i favori del popolo, furono riorganizzate in modo da non essere più occasionali e quindi pericolose, ma ordinate in seguito a precise indagini sul reale bisogno dei poveri e sulle disponibilità delle riserve. Con apposite leggi agrarie modificò inoltre forme e misure delle concessioni dell’ager publicus. 

    Questi ed altri provvedimenti (ad esempio quelli che riguardano l'esercito e la difesa dell'Impero), se da un lato gli assicurarono una salda base di potere, dall'altro infiammarono come ovvio i gruppi più conservatori dell’aristocrazia senatoria, che si esprimeva per lo più attraverso libelli denigratori o semplicemente ironici (dei quali ci dà notizia Svetonio). 

    Il 15 febbraio del 44, durante la cerimonia dei Lupercalia, Marco Antonio, allora console, volle offrire la corona di principe a Cesare, che tre volte la rifiutò, davanti alla folla che rumoreggiava. A meno di un mese di distanza, nelle idi di marzo del 44 a.C., Cesare fu ucciso a colpi di pugnale dall’opposizione senatoria guidata da Bruto e Cassio, uomini vicini al dittatore e da lui designati a cariche di rilievo per gli anni successivi. Con la morte di Cesare, tuttavia, il processo di trasformazione dello Stato romano da lui avviato non si arresta: esso passa anzi come vera e propria eredità ad Augusto, che lo perfeziona e lo conduce infine a termine con successo - se così possiamo dire - nella forma del principato.