Epicuro

    Epicuro nacque nel 341 a.C. a Samo. Qui ebbe occasione di assistere alle lezioni del filosofo platonico Panfilo, rivelando al contempo grande precocità nelle attitudini speculative. A diciotto anni si recò poi ad Atene, dove conobbe Menandro; si trasferì quindi a Colofone e ancora a Teo, dove fu per qualche tempo discepolo di Nausifane, un seguace dell'atomista Democrito, con il quale però entrò in polemica. Nel 311 a.C. fondò una prima scuola a Mitilene e poi una seconda a Lampsaco. Infine nel 306 a.C. decise di tornare ad Atene, dove rimase fino alla morte, tenendo le sue lezioni in una casa presso il Dipylon, circondata da un giardino, che divenne ben presto talmente celebre che la sua scuola fu detta appunto il "Giardino (Kepos)". Morì nel 270 a.C. e la sua scuola passò sotto la direzione del discepolo Ermarco di Mitilene. Epicuro scrisse un gran numero di opere, che purtroppo andarono tutte disperse nel medioevo. Alcune copie della sua opera più importante, intitolata Sulla natura (Peri fusews), si trovavano nella biblioteca di Filodemo, a Ercolano, e qui rimasero sepolte a causa dell'eruzione del Vesuvio, nel 79 a.C. Il recupero dei rotoli di papiro, carbonizzati, ma ancora in parte leggibili mediante avanzate tecniche di recupero archeologico (basate sull'impiego di radiazioni), ci ha fatto recuperare brani di ampiezza tale da permetterci di ricostruire almeno le linee fondamentali dell'etica epicurea. Oltre a questi frammenti, sopravvivono brani di opere citati nella Vita di Epicuro di Diogene Laerzio, fra cui tre epistole: la prima di esse, Ad Erodoto, contiene l'esposizione pressoché completa della fisica epicurea; la seconda, A Pitocle, tratta in sintesi la natura dei mondi, dei corpi celesti e dei fenomeni meteorologici; la terza, A Meneceo, che è anche la più breve, si occupa di problemi di etica e di religione. Diogene Laerzio ci ha inoltre conservato anche una quarantina di massime morali, cui se ne sono aggiunte altre, trovate alla fine del XIX secolo in un manoscritto vaticano. Fondamentale per la conoscenza del pensiero di Epicuro è poi il vasto poema intitolato De rerum natura, del poeta latino Tito Lucrezio Caro. Epicuro accettò la soluzione fisica e gnoseologica tipica degli atomisti, e soprattutto di Democrito, secondo il quale esistono due sole realtà della cui esistenza non si può dubitare e dalle quali tutto deriva: gli atomi e il vuoto. Gli atomi, particelle di materia solida ed eterna, si muovono continuamente in ogni direzione; il loro "declinare" dal moto rettilineo permette che essi formino degli aggregati, dai quali ha origine tutto ciò che esiste, compreso ogni essere vivente, quindi anche l'uomo, composto di atomi sia nel corpo che nell'anima. Tali aggregati non sono eterni; trascorso un periodo di tempo più o meno lungo, essi tornano a risolversi in atomi, i quali, a loro volta, si aggregheranno di nuovo, in un processo infinito ed eterno, come è infinita ed eterna la materia. Anche gli dei, che vivono una vita perfetta negli spazi fra i mondi e non influenzano in alcun modo la vita umana, sono fatti di atomi; ma, a differenza degli uomini, non conoscono la morte, perché i loro atomi si rinnovano continuamente. Con questa teoria Epicuro si propose di liberare l'uomo da timore della divinità e dalla paura della morte. Dagli aggregati di atomi si dipartono effluvi di particelle che formano delle "immagini" che hanno la forma delle cose e che colpiscono i nostri sensi, dando inizio alla conoscenza a partire dalla sensazione. Applicando tre criteri, a partire dalla conoscenza è possibile giungere alla verità: il primo è rappresentato dalle "sensazioni"; il secondo dalle "pre-nozioni" e il terzo dalle "affezioni”. Le sensazioni hanno valore di realtà oggettiva perché sono effetto di una causa reale; le pre-nozioni sono i concetti e sono costituite dalle rappresentazioni mentali delle cose; le affezioni, infine, sono il piacere o il dolore, e l'uomo ricerca il primo e fugge il secondo. Libero dal terrore della morte e del divino, l'uomo può dedicarsi a raggiungere il piacere, che Epicuro considera il fine ultimo dell'esistenza umana e che può essere raggiunto solo attraverso una vita del tutto priva da impegni e preoccupazioni materiali ("vivi appartato (laqe biwsas)"): il piacere consiste "nell'assenza di turbamento (aqarassia)" e "nell'assenza di dolore (aponia)", e non va identificato con la soddisfazione degli istinti o con la dissolutezza. Il sapiente è capace di un assoluto autocontrollo, gode di una piena autosufficienza e soddisfa soltanto i piaceri naturali e necessari, accettando come rapporto interpersonale la sola amicizia. A fondamento dell’esistenza deve esserci il principio del "quadruplice rimedio (Tetrafarmakon)": "Non si deve temere la divinità; la morte non è tale da incutere spavento; il bene è facile da ottenere; il male, facile da sopportare". Nessun successore del filosofo ebbe una tale originalità da modificare in profondità la dottrina epicurea. Fra i successori di Epicuro meritano di essere ricordati Metrodoro di Lampsaco, suo fedele discepolo; Ermarco, che sostituì il maestro alla guida del Giardino, e Filodemo di Gadara, autore anche di epigrammi, la cui biblioteca, ritrovata negli scavi ad Ercolano, è stata per noi fonte preziosa di materiale.