Tacito,

Annales

 

Ritratto di Pisone (Liber XV, 48)

48. [65 d.C.]. Quando iniziarono il loro consolato Silio Nerva e Attico Vestino, aveva già preso avvio e si era consolidata una congiura, cui avevano aderito a gara senatori, cavalieri, soldati e anche donne, sia per odio contro Nerone, sia per simpatia verso Gaio Pisone. Discendente dal casato dei Calpurnii e imparentato, per parte di padre, con molte e distinte famiglie, era accreditato tra il popolo di ottime qualità, o piuttosto dava a vedere di averle. Esercitava infatti la sua eloquenza in difesa dei cittadini, generoso verso gli amici, e anche con gli sconosciuti parlava e s'intratteneva affabilmente; e non mancava delle doti che assegna la sorte, quali l'alta statura e la bellezza fisica; assenti, invece, il rigore morale e la moderazione nei piaceri: indulgeva alle frivolezze della mondanità e talvolta allo sfarzo. Ma proprio questo  gli attirava le simpatie dei più, i quali, in un clima di viziosità così diffuso, gradiscono al sommo potere uno non rigido e troppo severo.

Testo originale

Ineunt deinde consulatum Silius Nerva et Atticus Vestinus, coepta simul et aucta coniuratione in quam certatim nomina dederant senatores eques miles, feminae etiam, cum odio Neronis tum favore in C. Pisonem. is Calpurnio genere ortus ac multas insignisque familias paterna nobilitate complexus, claro apud vulgum rumore erat per virtutem aut species virtutibus similis. namque facundiam tuendis civibus exercebat, largitionem adversum amicos, et ignotis quoque comi sermone et congressu; aderant etiam fortuita, corpus procerum, decora facies: sed procul gravitas morum aut voluptatum parsimonia; levitati ac magnificentiae et aliquando luxu indulgebat, idque pluribus probabatur qui in tanta vitiorum dulcedine summum imperium non restrictum nec perseverum volunt.


La congiura di Pisone: gli esordi (Liber XV, 49)

49. L'origine della congiura non risale all'ambizione di costui: tuttavia non saprei indicare chi ne sia stato il promotore o su ispirazione di chi abbia preso piede un'iniziativa condivisa da tanti. Sostenitori particolarmente decisi furono il tribuno di una coorte pretoria Subrio Flavo e il centurione Sulpicio Aspro, come dimostrò la loro fermezza di fronte alla morte. Anneo Lucano e Plauzio Laterano vi portarono il loro odio implacabile. Spingeva Lucano un motivo personale, dato che Nerone cercava di soffocare la rinomanza delle sue poesie e aveva vietato, perché soccombente nel confronto, che venissero divulgate. A offrire la propria adesione, il console designato Laterano era stato indotto non da offese particolari, ma dall'amore per lo stato. Al contrario, Flavio Scevino e Afranio Quinziano, appartenenti entrambi all'ordine senatorio, smentirono, contribuendo a dar vita a una iniziativa così grande, la cattiva fama che si aveva di loro: l'animo di Scevino infatti appariva rammollito dalla lussuria e la sua vita era perciò illanguidita da un sonnolento torpore; Quinziano, famigerato per la sua effeminatezza e messo alla berlina da un epigramma infamante di Nerone, voleva prendersi una vendetta.

Testo originale

Initium coniurationi non a cupidine ipsius fuit: nec tamen facile memoraverim quis primus auctor, cuius instinctu concitum sit quod tam multi sumpserunt. promptissimos Subrium Flavum tribunum praetoriae cohortis et Sulpicium Asprum centurionem extitisse constantia exitus docuit; et Lucanus Annaeus Plautiusque Lateranus vivida odia intulere. Lucanum propriae causae accendebant, quod famam carminum eius premebat Nero prohibueratque ostentare, vanus adsimulatione: Lateranum consulem designatum nulla iniuria sed amor rei publicae sociavit. at Flavius Scaevinus et Afranius Quintianus, uterque senatorii ordinis, contra famam sui principium tanti facinoris capessivere: nam Scaevino dissoluta luxu mens et proinde vita somno languida; Quintianus mollitia corporis infamis et a Nerone probroso carmine diffamatus contumeliam ultum ibat.

 

Le trame segrete di Pisone (Liber XV, 52)

52. Scossi dal timore del tradimento, i congiurati decisero di stringere i tempi e di uccidere Nerone a Baia nella villa di Pisone, assai frequentata da Cesare, che si era innamorato della sua bellezza, e dove faceva bagni e banchettava senza scorte e libero dal cerimoniale dovuto al suo altissimo rango. Ma si oppose Pisone, adducendo l'odiosità del gesto, se si fossero macchiati la sacralità della mensa e gli dèi ospitali con il sangue di un principe, chiunque fosse: meglio concludere l'azione progettata per il bene dello stato a Roma, nel palazzo tanto detestato e costruito con le spoglie dei cittadini, oppure in un luogo pubblico. Così argomentava di fronte agli altri, ma lo rodeva il segreto timore che Lucio Silano, forte della sua specchiata nobiltà e reso degno, grazie al rigore dell'educazione ricevuta da Gaio Cassio, di ogni ruolo, per alto che fosse, potesse impadronirsi del potere, che gli avrebbero offerto senza riserve gli estranei alla congiura o chi avesse commiserato Nerone, se eliminato con un delitto. Molti erano convinti che Pisone avesse voluto evitare il rischio che il console Vestino, col suo temperamento deciso, ripristinasse le libertà repubblicane oppure facesse dono dello stato a un altro imperatore da lui scelto. Infatti Vestino era estraneo alla congiura, per quanto poi Nerone, approfittando di quell'accusa, abbia sfogato sopra un innocente il suo antico odio contro di lui.

Testo originale

Coniuratis tamen metu proditionis permotis placitum maturare caedem apud Baias in villa Pisonis, cuius amoenitate captus Caesar crebro ventitabat balneasque et epulas inibat omissis excubiis et fortunae suae mole. sed abnuit Piso invidiam praetendens, si sacra mensae diique hospitales caede qualiscumque principis cruentarentur: melius apud urbem in illa invisa et spoliis civium extructa domo vel in publico patraturos quod pro re publica suscepissent. haec in commune, ceterum timore occulto ne L. Silanus eximia nobilitate disciplinaque C. Cassii, apud quem educatus erat, ad omnem claritudinem sublatus imperium invaderet, prompte daturis qui a coniuratione integri essent quique miserarentur Neronem tamquam per scelus interfectum. plerique Vestini quoque consulis acre ingenium vitavisse Pisonem crediderunt, ne ad libertatem oreretur vel delecto imperatore alio sui muneris rem publicam faceret. etenim expers coniurationis erat, quamvis super eo crimine Nero vetus adversum insontem odium expleverit.