Petronio

 

La matrona di Efeso ( 1 )  -  Sat. 111

C’era una certa matrona ad Efeso di così rinomata virtù da spingere persino le donne dei popoli confinanti a farle attenzione. Costei, dunque, dopo aver perso il marito, non contenta di seguire, secondo il costume popolare, il corteo funebre con i capelli sciolti o di percuotersi il petto nudo di fronte alla gente, seguì il marito anche quando venne messo nella bara, e quando venne deposto, secondo l’usanza greca, nella tomba, prese a vegliare il corpo ed a piangere notte e giorno. Né i genitori, né i parenti riuscirono a distoglierla dall’affliggersi in quel modo e dall’andare incontro alla morte per fame. Da ultimo i magistrati se ne andarono respinti; e la donna di eccezionale esempio compianta da tutti non toccava cibo da quattro giorni. Assisteva la disperata un’ancella fedelissima, e quando piangeva la accompagnava nel pianto, ed allo stesso tempo provvedeva a sostituire il lume posto sulla lapide ogni volta che si consumava.

 

Testo originale

CXI. "Matrona quaedam Ephesi tam notae erat pudicitiae, ut uicinarum quoque gentium feminas ad spectaculum sui euocaret. Haec ergo cum uirum extulisset, non contenta uulgari more funus passis prosequi crinibus aut nudatum pectus in conspectu frequentiae plangere, in conditorium etiam prosecuta est defunctum, positumque in hypogaeo Graeco more corpus custodire ac flere totis noctibus diebusque coepit. Sic adflictantem se ac mortem inedia persequentem non parentes potuerunt abducere, non propinqui; magistratus ultimo repulsi abierunt, complorataque singularis exempli femina ab omnibus quintum iam diem sine alimento trahebat. Adsidebat aegrae fidissima ancilla, simulque et lacrimas commodabat lugenti, et quotienscunque defecerat positum in monumento lumen renouabat.

 

 

La matrona di Efeso ( 2 )  -  Sat. 111

In tutta la città, dunque, si parlava solo di quello: uomini di ogni estrazione sociale ammettevano che solo quello era mai brillato come esempio sincero di amore e di virtù, quand’ecco che il governatore della provincia ordinò di far crocefiggere alcuni briganti vicino alla tomba in cui la matrona piangeva il marito morto da poco. Dunque, la notte successiva, quando il soldato che faceva la guardia alle croci, perché nessuno si portasse via un cadavere per dargli sepoltura, notò un lume che brillava abbastanza distintamente fra le tombe ed udì il gemito della donna che piangeva, con la tipica curiosità maschile desiderò sapere chi o cosa ne fosse la causa. Quindi scese nella tomba e, come vide la bellissima donna, dapprima si fermò paralizzato dal terrore quasi si fosse trattato di una creatura mostruosa o di apparizioni infernali. Poi, come vide il corpo della donna distesa e notò le lacrime ed il volto segnato dalle unghie, comprendendo cosa significasse la scena - cioè che la donna non riusciva a sopportare il rimpianto per il marito defunto – portò alla tomba la sua misera cena, e prese a spronare l’afflitta a non persistere in un’afflizione più che inutile e a non spezzarsi il cuore con lamenti futili: tutti avevano la medesima fine e la medesima dimora, ed ogni espediente attraverso il quale si riportano le menti sconvolte dal dolore alla ragione.

 

Testo originale

 Vna igitur in tota ciuitate fabula erat, solum illud adfulsisse uerum pudicitiae amorisque exemplum omnis ordinis homines confitebantur, cum interim imperator prouinciae latrones iussit crucibus affigi secundum illamcasulam, in qua recens cadauer matrona deflebat. Proxima ergo nocte, cum miles, qui cruces asseruabat, ne quis ad sepulturam corpus detraheret, notasset sibi [et] lumen inter monumenta clarius fulgens et gemitum lugentis audisset, uitio gentis humanae concupiit scire quis aut quid faceret. Descendit igitur in conditorium, uisaque pulcherrima muliere, primo quasi quodam monstro infernisque imaginibus turbatus substitit. Deinde ut et corpus iacentis conspexit et lacrimas considerauit faciemque unguibus sectam, ratus scilicet id quod erat, desiderium extincti non posse feminam pati, attulit in monumentum cenulam suam, coepitque hortari lugentem ne perseueraret in dolore superuacuo, ac nihil profuturo gemitu pectus diduceret: omnium eundem esse exitum [sed] et idem domicilium, et cetera quibus exulceratae mentes ad sanitatem reuocantur.

 

 

 

La matrona di Efeso ( 3 )  -  Sat. 111

Ma, pur colpita dalla consolazione che veniva da una persona che non conosceva, si graffiò con furia rinnovata il petto e depose i capelli stappati sopra il capo del defunto. Il soldato, tuttavia, non si diede per vinto e con incoraggiamento non minore tentò di offrire il pasto all’ancella, fino a che ella, vinta sicuramente da quell’odore del vino, allungò la mano priva di volontà di resistenza verso la generosa offerta; poi, ristorata dalla bevuta e dal cibo, iniziò a venire a capo della cocciutaggine della sua padrona e disse: “ a cosa ti sarà utile lasciarti morire di fame, seppellirti viva, sprecare la tua anima innocente prima che il destino lo chieda? O credi forse che i Mani sepolti si curino di questo, di un morto ? Desideri tornare a vivere? Vuoi – una volta cancellato questo tipico pregiudizio femminile, godere della luce del giorno fino a quando ti verrà concesso? Lo stesso corpo che è steso davanti a te ti dovrebbe esortare a vivere”.

Nessuno obbedisce controvoglia quando è invitato a mangiare o a vivere. Così la donna, a digiuno da svariati giorni, lasciò che la sua ostinazione venisse vinta, e si abbuffò di cibo con foga non minore di quella dell’ancella, che per prima era stata convinta.

 

Testo originale

  At illa ignota consolatione percussa lacerauit uehementius pectus, ruptosque crines super corpus iacentis imposuit. Non recessit tamen miles, sed eadem exhortatione temptauit dare mulierculae cibum, donec ancilla uini certe ab eo odore corrupta primum ipsa porrexit ad humanitatem inuitantis uictam manum, deinde refecta potione et cibo expugnare dominae pertinaciam coepit et: 

"Quid proderit, inquit, hoc tibi, si soluta inedia fueris, si te uiuam sepelieris, si antequam fata poscant, indemnatum spiritum effuderis? Id cinerem aut manes credis sentire sepultos? Vis tu reuiuiscere? Vis discusso muliebri errore, quam diu licuerit, lucis commodis frui? Ipsum te iacentis corpus admonere debet, ut uiuas." 

Nemo nuitus audit, cum cogitur aut cibum sumere aut uiuere. Itaque mulier aliquot dierum abstinentia sicca passa est frangi pertinaciam suam, nec minus auide repleuit se cibo quam ancilla, quae prior uicta est.

 

 

 

La matrona di Efeso ( 4 )  -  Sat. 112

 Voi sapete cos’altro è solito tentare un essere umano quando è sazio. Il soldato, con le medesime lusinghe grazie alle quali aveva fatto tornare a vivere la matrona, tentò anche la sua castità. E alla casta matrona egli non pareva né brutto né stupido, anche perché l’ancella lo metteva in buona luce e diceva: “vuoi dunque tu combattere un amore che ti aggrada? Non ti ricordi in che territorio ti trovi?”. Perché farla tanto lunga? La matrona non seppe tenere a digiuno neppure quella parte del suo corpo, ed il soldato vincitore riuscì nella sua impresa di persuasione entrambe le volte. Dormirono dunque insieme non solo quella notte, in cui venne consumato il loro amore, ma anche il secondo ed il terzo giorno, dopo aver sbarrato, come è logico, le porte del sepolcro, perché chiunque fosse capitato, noto o sconosciuto, presso la tomba pensasse che la castissima moglie fosse spirata sopra il cadavere del marito. Contento un po’ di tutto, della bellezza della donna come del segreto da custodire, il soldato raccoglieva tutto ciò di buono che poteva secondo le sue capacità e, appena calava il sole, lo portava alla tomba.

 

Testo originale

CXII. Ceterum scitis quid plerumque soleat temptare humanam satietatem. Quibus blanditiis impetrauerat miles ut matrona uellet uiuere, isdem etiam pudicitiam eius aggressus est. Nec deformis aut infacundus iuuenis castae uidebatur, conciliante gratiam ancilla ac subinde dicente:
"Placitone etiam pugnabis amori?
[Nec uenit in mentem quorum consederis aruis?"]
Quid diutius moror? Ne hanc quidem partem corporis mulier abstinuit, uictorque miles utrumque persuasit. Iacuerunt ergo una non tantum illa nocte, qua nuptias fecerunt, sed postero etiam ac tertio die, praeclusis uidelicet conditorii foribus, ut quisquis ex notis ignorisque ad monumentum uenisset, putasset expirasse super corpus uiri pudicissimam uxorem. Ceterum delectatus miles et forma mulieris et secreto, quicquid boni per facultates poterat, coemebat et prima statim nocte in monumentum ferebat.

 

 

La matrona di Efeso ( 5 )  -  Sat. 112

Dunque i genitori di uno dei crocefissi, come videro che la sorveglianza era calata, una notte lo tirarono giù dalla croce e gli diedero gli estremi uffici. Ma il soldato, distratto mentre rimaneva ozioso, quando il giorno seguente vide che ad una croce mancava il cadavere, temendo la punizione, racconta alla donna l’accaduto: non avrebbe atteso la sentenza del giudice, ma avrebbe fatto giustizia della propria negligenza con la spada. Gli procurasse ella un luogo per morire, il sepolcro accogliesse il corpo del marito e dell’amante. La donna, che non era meno pietosa che casta, disse: “gli dei non permettano che io assista al contempo al funerale di due uomini a me estremamente cari. Preferisco appendere un morto che seppellire un vivo”. Detto così, gli ordinava di togliere il cadavere di suo marito dal sepolcro ed appenderlo alla croce che ne era priva. Il soldato si servì dell’astuzia di quella donna di grande furbizia, ed il giorno seguente la folla si chiedeva come avesse fatto il morto a crocefiggersi.

 

Testo originale


Itaque unius cruciarii parentes ut uiderunt laxatam custodiam, detraxere nocte pendentem supremoque mandauerunt officio. At miles circumscriptus dum desidet, ut postero die uidit unam sine cadauere crucem, ueritus supplicium, mulieri quid accidisset exponit: nec se expectaturum iudicis sententiam, sed gladio ius dicturum ignauiae suae. Commodaret ergo illa perituro locum, et fatale conditorium familiari ac uiro faceret. Mulier non minus misericors quam pudica: "Ne istud, inquit, dii sinant, ut eodem tempore duorum mihi carissimorum hominum duo funera spectem. Malo mortuum imprendere quam uiuum occidere." Secundum hanc orationem iubet ex arca corpus mariti sui tolli atque illi, quae uacabat, cruci affigi. Vsus est miles ingenio prudentissimae feminae; posteroque die populus miratus est qua ratione mortuus isset in crucem."