PETRONI ARBITRI

SATIRICON – LXXVIII 

 

Il banchetto funebre 

78 Stico non si fa pregare, e in men che non si dica porta in sala una coperta bianca e una toga pretesta... che lui ci ordina di palpare, per vedere se erano di lana buona o meno. Poi, sorridendo, riprende: «Ben attento, Stico, che non me le rodano i sorci o le tarme, se no ti brucio vivo. Voglio un funerale coi fiocchi, con tutta la gente dietro a parlar bene di me». Poi stappa una boccetta di nardo e ci unge dal primo all'ultimo dicendo: «Spero che da morto questo profumo mi piaccia come da vivo». Dopo aver fatto versare del vino nel contenitore, aggiunge: «Fate conto che io vi abbia già invitati al mio banchetto funebre». La faccenda stava diventando nauseante, quando Trimalcione, ormai stordito dalla sbornia, ordina che entri nella sala una nuova banda - questa volta costituita da suonatori di corno - e, stravaccandosi su una montagna di cuscini, si sdraia in fondo al divano, dicendo: «Fingete che sia morto e suonatemi qualcosa di carino». Gli orchestrali attaccano un'assordante marcia funebre e specialmente uno di essi, il servo di quell'impresario di pompe funebri, che era il più rispettabile in quella combriccola, si butta sullo strumento con una foga tale da svegliare tutto il vicinato. E così, i pompieri che erano in servizio in quel quartiere, credendo che la casa di Trimalcione stesse andando a fuoco, sfondano subito la porta e si mettono a fare il loro solito caos a colpi di accetta e secchi d'acqua. E noi, approfittando di quella meravigliosa occasione, salutammo al volo Agamennone e fuggimmo via di corsa proprio come se stessimo scappando da un incendio.

  

Testo originale

LXXVIII. Non est moratus Stichus, sed et stragulam albam et praetextam in triclinium attulit ... iussitque nos temptare, an bonis lanis essent confecta. Tum subridens: "Vide tu, inquit, Stiche, ne ista mures tangant aut tineae; alioquin te uiuum conburam. Ego gloriosus uolo efferri, ut totus mihi populus bene imprecetur". Statim ampullam nardi aperuit omnesque nos unxit et: "Spero, inquit, futurum ut aeque me mortuum iuuet tanquam uiuum". Nam uinum quidem in uinarium iussit infundi et: "Putate uos, ait, ad parentalia mea inuitatos esse".

Ibat res ad summam nauseam, cum Trimalchio ebrietate turpissima grauis nouum acroama, cornicines, in triclinium iussit adduci, fultusque ceruicalibus multis extendit se super torum extremum et: "Fingite me, inquit, mortuum esse. Dicite aliquid belli". Consonuere cornicines funebri strepitu. Vnus praecipue seruus libitinarii illius, qui inter hos honestissimus erat, tam ualde intonuit, ut totam concitaret uiciniam. Itaque uigiles, qui cursodiebant uicinam regionem, rati ardere Trimalchionis domum, effregerunt ianuam subito et cum aqua securibusque tumultuari suo iure coeperunt. Nos occasionem opportunissimam nacti Agamemnoni uerba dedimus, raptimque tam plane quam ex incendio fugimus.

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