Petronio

Satyricon, 44

 

La crisi economica: i bei tempi andati - Sat. 44

44 Dopo Filerote, interviene Ganimede: «Questa è roba che non sta né in cielo né in terra, e intanto nessuno pensa ai morsi della carestia. Oggi, maledizione, non sono riuscito a trovare un pezzetto di pane. E la siccità non la smette mica! E intanto è da un anno che facciamo la fame. Schiattassero una buona volta gli edili, che hanno tutti i loro accordi segreti con i  fornai: "Aiuta me che aiuto te" dicono, mentre la povera gente tira la cinghia e per quelle canaglie è sempre carnevale. Ah, se ci fossero ancora quegli uomini di carattere che ho trovato qui la prima volta che sono arrivato dall'Asia! Quello sì che era vivere. Se il grano della Sicilia non valeva un fico secco, a queste carogne quelli là gliene davano un sacco e una sporta, che sembrava venisse giù il cielo. Me ne ricordo uno, Safinio: quand'ero ancora un ragazzino, lui stava dalle parti dell'Arco Vecchio. Era un demonio, non un uomo. Dove passava lui, faceva terra bruciata. Ma era onesto, leale, amico con gli amici, potevi giocarci alla morra anche al buio. E in Senato poi, come se li rigirava tutti, dal primo all'ultimo, e come parlava chiaro, senza fare tanti giri di parole. Nel foro, poi, quando aveva la parola lui, era come sentire una tromba. E mai una goccia di sudore o uno sputo: sembrava quasi - non so - un asiatico. E con che gentilezza ti salutava, ricordandosi il nome di tutti, come se fosse uno di noi! 

Testo originale

XLIV. Haec Phileros dixit, illa Ganymedes: "Narrat is quod nec ad terram pertinet, cum interim nemo curat, quid annona mordet. Non mehercules hodie buccam panis inuenire potui. Et quomodo siccitas perseuerat! Iam annum esuritio fuit. Aediles male eueniat, qui cum pistoribus colludunt: "Serua me, seruabo te". Itaque populus minutus laborat; nam isti maiores maxillae semper Saturnalia agunt. O si haberemus illos leones, quos ego hic inueni, cum primum ex Asia ueni. Illud erat uiuere. +Similia sicilia interiores et laruas sic istos percolopabant, ut illis Iuppiter iratus esset. Sed memini Safinium; tunc habitabat ad arcum ueterem, me puero: piper, non homo. Is quacunque ibat, terram adurebat. Sed rectus, sed certus, amicus amico, cum quo audacter posses in tenebris micare. In curia autem quomodo singulos [uel] pilabat [tractabat]. Nec schemas loquebatur sed directum. Cum ageret porro in foro, sic illius uox crescebat tanquam tuba. Nec sudauit unquam nec expuit; puto enim nescio quid Asiadis habuisse. Et quam benignus resalutare, nomina omnium reddere, tanquam unus de nobis!

 

 

La crisi economica: è colpa degli dei?  -  Sat. 44 

Così a quei tempi la roba costava una miseria. Comprando un soldo di pane, non si riusciva mica a finirlo in due. Adesso ti danno dei panini che un occhio di bue è più grosso! Poveri noi, ogni giorno che passa è sempre peggio. Questo paese cresce in senso contrario, come la coda di un vitello. Ma come volete che vada se abbiamo un edile che non vale un bel niente, e che darebbe la nostra vita in cambio di una lira? A casa sua se la passa alla grande, e guadagna più lui in un giorno che il resto della gente in tutta la vita. Io lo so benissimo come ha fatto ad arraffare mille denari d'oro. Se solo noi avessimo il coraggio, quello lì non se la spasserebbe tanto. Il fatto è che a casa siamo tutti leoni, mentre fuori diventiamo pecore. Per quel che mi riguarda, ho già venduto gli stracci che avevo e, se continua la carestia, finisce che mi tocca vendere anche la baracca. Come volete che vada a finire, se gli dei e gli uomini continuano a fregarsene di questo paese? Mi scommetterei i figli che tutto questo ce lo mandano gli dei. Nessuno più crede che il cielo sia il cielo, nessuno più rispetta il digiuno, tutti se ne infischiano del padreterno, e sanno solo sgranare gli occhi per contare la roba che hanno.  Una volta le signore bene salivano scalze in Campidoglio, coi capelli sciolti e il cuore puro, e imploravano Giove che facesse piovere. Subito veniva giù a catinelle. Ora o mai, e tutti ridevano, fradici come sorci. Oggi invece gli dèi sono infuriati perché non c'è più religione. E i campi giacciono abbandonati...».

 

Testo originale

Itaque illo tempore annona pro luto erat. Asse panem quem emisses, non potuisses cum altero deuorare. Nunc oculum bublum uidi maiorem. Heu heu, quotidie peius! Haec colonia retrouersus crescit tanquam coda uituli. Sed quare nos habemus aedilem trium cauniarum, qui sibi mauult assem quam uitam nostram? Itaque domi gaudet, plus in die nummorum accipit quam alter patrimonium habet. Iam scio unde acceperit denarios mille aureos. Sed si nos coleos haberemus, non tantum sibi placeret. Nunc populus est domi leones, foras uulpes. Quod ad me attinet, iam pannos meos comedi, et si perseuerat haec annona, casulas meas uendam. Quid enim futurum est, si nec dii nec homines eius coloniae miserentur? Ita meos fruniscar, ut ego puto omnia illa a diibus fieri. Nemo enim caelum caelum putat, nemo ieiunium seruat, nemo Iouem pili facit, sed omnes opertis oculis bona sua computant. Antea stolatae ibant nudis pedibus in cliuum, passis capillis, mentibus puris, et Iouem aquam exorabant. Itaque statim urceatim plouebat: aut tunc aut nunquam, et omnes ridebant udi tanquam mures. Itaque dii pedes lanatos habent, quia nos religiosi non sumus. Agri iacent ..."