Petronio

Satyricon, 34

 

Uno scheletro a tavola

Un secondo dopo ecco arrivare delle anfore di cristallo scrupolosamente sigillate e con alcune etichette attaccate al collo recanti la scritta: «Falerno Opimiano di cento anni». Mentre eravamo presi a leggere, Trimalcione batté le mani urlando: «Ohimè, dunque il vino vive più a lungo di un pover'uomo. Ma allora non indugiamo a scolarcelo! Il vino è vita e questo è Opimiano puro. Ieri non ne ho offerto di così buono, eppure avevo a cena gente ben più di riguardo». Mentre noi tracanniamo e osserviamo attoniti tutto quel ben di dio, arriva un servo con uno scheletro d'argento costruito in maniera tale che lo snodo delle vertebre e delle giunture permetteva qualunque tipo di movimento. Dopo averlo buttato a più riprese sul tavolo facendogli assumere varie posizioni grazie alla struttura mobile, Trimalcione aggiunge: «Ahimè, miseri noi, che cosa da nulla è un pover'uomo. Noi tutti saremo così il giorno che l'Orco ci prende. Ma allora viviamo, finché possiamo stare bene».

Testo originale

Statim allatae sunt amphorae uitreae diligenter gypsatae, quarum in ceruicibus pittacia erant affixa cum hoc titulo: "Falernum Opimianum annorum centum". Dum titulos perlegimus, complosit Trimalchio manus et: "Eheu, inquit, ergo diutius uiuit uinum quam homuncio. Quare tangomenas faciamus. Vita uinum est. Verum Opimianum praesto. Heri non tam bonum posui, et multo honestiores cenabant." Potantibus ergo nobis et accuratissime lautitias mirantibus laruam argenteam attulit seruus sic aptatam, ut articuli eius uertebraeque laxatae in omnem partem flecterentur. Hanc cum super mensam semel iterumque abiecisset, et catenatio mobilis aliquot figuras exprimeret, Trimalchio adiecit: "Eheu nos miseros, quam totus homuncio nil est! Sic erimus cuncti, postquam nos auferet Orcus. Ergo uiuamus, dum licet esse bene."