Tito Lucrezio Caro

De rerum natura

 

Invocazione a Venere ( 1 ) ( De rer. nat. I, vv 1-20 )


Madre degli Eneadi, piacere di uomini e dei, alma Venere, che, sotto le stelle del cielo che scivolano, riempi della tua presenza il mare solcato dalle navi e le terre ricche di frutti, poiché per mezzo tuo ogni specie di esseri viventi viene concepita e, una volta nata, vede i raggi del sole - te, o dea, te fuggono i venti, te le nubi del cielo, e davanti al tuo arrivo, sotto di te la terra buona artefice fa spuntare i fiori teneri, per te sorridono le distese del mare ed il cielo rasserenato brilla di luce diffusa. Infatti, non appena si è dischiusa la vista di un giorno primaverile, e, liberato, prende forza l'aria vivificante di Favonio, per prima cosa gli uccelli dell'aria annunciano te, o dea, ed il tuo arrivo, colpiti nei cuori dalla tua forza. Quindi belve e greggi balzano sui pascoli fecondi ed attraversano i fiumi che scorrono impetuosi: così, catturato dal fascino, ogni animale ti segue con desiderio dove tu continui a condurre ciascuno. Infine, instillando a tutti nei petti un dolce amore, per mari, monti, fiumi impetuosi e frondosi nidi di uccelli e campi verdeggianti, fai in modo che, stirpe per stirpe, con desiderio essi continuino le generazioni.

 

Testo Originale

 

T. LVCRETI CARI
DE RERVM NATVRA - LIBER I


 
Aeneadum genetrix, hominum diuumque uoluptas,        1
alma Venus, caeli subter labentia signa
quae mare nauigerum, quae terras frugiferentis
concelebras, per te quoniam genus omne animantum
concipitur uisitque exortum lumina solis:
te, dea, te fugiunt uenti, te nubila caeli
aduentumque tuum, tibi suauis daedala tellus
summittit flores tibi rident aequora ponti
placatumque nitet diffuso lumine caelum.
nam simul ac species patefactast uerna diei
et reserata uiget genitabilis aura fauoni,
aeriae primum uolucres te, diua, tuumque
significant initum perculsae corda tua ui.
inde ferae pecudes persultant pabula laeta
et rapidos tranant amnis: ita capta lepore
te sequitur cupide quo quamque inducere pergis.
denique per maria ac montis fluuiosque rapaces
frondiferasque domos auium camposque uirentis
omnibus incutiens blandum per pectora amorem
efficis ut cupide generatim saecla propagent.                    20

 

 

Invocazione a Venere ( 2 ) ( De rer. nat. I, vv 21-37 )

E perché tu sei la sola a governare la natura, e senza di te nulla sorge alle spiagge divine della luce, nulla avviene di lieto ed amabile, desidero averti come compagna per scrivere i miei versi, che tento di comporre sulla natura, per il nostro figlio di Memmio, che tu, o dea, sempre hai voluto che eccellesse, ricoperto di ogni pregio: tanto più concedi fascino eterno ai miei detti. Fa’ in modo che, nel frattempo, le feroci opere della guerra per tutti i mari e le terre in quiete riposino. Infatti tu sola puoi giovare ai mortali con una pace serena, poiché Marte possente in armi governa le crudeli azioni della guerra, lui che spesso si abbandona sul tuo grembo, colpito dall’eterna ferita d’amore, e – così guardandoti, reclinato il collo ben tornito – sazia d’amore, guardando fisso verso di te, gli sguardi desiderosi, e alla tua bocca è sospeso il respiro ( di Marte ) supino.

 

 Testo Originale

  quae quoniam rerum naturam sola gubernas                21
nec sine te quicquam dias in luminis oras
exoritur neque fit laetum neque amabile quicquam,
te sociam studeo scribendis uersibus esse
quos ego de rerum natura pangere conor
Memmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omni
omnibus ornatum uoluisti excellere rebus.
quo magis aeternum da dictis, diua, leporem.
effice ut interea fera moenera militiai
per maria ac terras omnis sopita quiescant.
nam tu sola potes tranquilla pace iuuare
mortalis, quoniam belli fera moenera Mauors
armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se
reicit aeterno deuictus uulnere amoris,
atque ita suspiciens tereti ceruice reposta
pascit amore auidos inhians in te, dea, uisus,
eque tuo pendet resupini spiritus ore.                               37

 

Invocazione a Venere ( 3 ) ( De rer. nat. I, vv 38-49 )

Tu, o dea, volta su di lui che giace sul tuo corpo sacro, effondi dalla tua bocca dolci parole, chiedendo, o gloriosa, la pace serena per i Romani! Infatti, io non posso comporre quest’opera in serenità in un’epoca di difficoltà per la patria, né l’illustre stirpe di Memmio in tali occasioni può mancare alla salvezza comune. Infatti è necessario che ogni natura divina goda di per se stessa di una vita immortale nella massima pace, separata e ben distante dalle nostre vicende; infatti, libera da ogni dolore, libera dai pericoli, essa stessa padrona delle proprie facoltà, per nulla bisognosa di noi, non viene conquistata dai nostri meriti, né viene sfiorata dalla collera.

 

 Testo Originale

 hunc tu, diua, tuo recubantem corpore sancto                38
circumfusa super, suauis ex ore loquelas
funde petens placidam Romanis, incluta, pacem.
nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo
possumus aequo animo nec Memmi clara propago
talibus in rebus communi desse saluti.
<>omnis enim per se diuum natura necessest
immortali aeuo summa cum pace fruatur
semota ab nostris rebus seiunctaque longe.
nam priuata dolore omni, priuata periclis,
ipsa suis pollens opibus, nil indiga nostri,
nec bene promeritis capitur neque tangitur ira.<>            49



L'elogio di Epicuro ( 1 ) ( De rer. nat. I, vv  62-71 )

Mentre la vita umana giaceva sulla terra orribilmente davanti agli occhi, schiacciata sotto la pesante religione, che mostrava il suo corpo dalle regioni celesti, incombendo con il suo sguardo terrificante sopra i mortali, allora per la prima volta un uomo greco osò sollevare gli occhi mortali contro e per primo resisterle contro. E né le opinioni sugli dei, né i fulmini né il cielo con il tuono minaccioso riuscirono a fermarlo, ma tanto di più sollecitarono il fiero valore dell’animo, che per primo desiderava svellere le strette barriere delle porte della natura.

 

Testo Originale

  Humana ante oculos foede cum uita iaceret                62
in terris oppressa graui sub religione
quae caput a caeli regionibus ostendebat
horribili super aspectu mortalibus instans,
primum Graius homo mortalis tollere contra
est oculos ausus primusque obsistere contra,
quem neque fama deum nec fulmina nec minitanti
murmure compressit caelum, sed eo magis acrem
irritat animi uirtutem, effringere ut arta
naturae primus portarum claustra cupiret.                      71

 

 

L'elogio di Epicuro ( 2 ) ( De rer. nat. I, vv  72-79 )

Dunque, la vivida forza del suo animo trionfò e lo spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo, e con la mente e con l’animo percorse l’universo immenso, da cui riporta a noi, vittorioso, ciò che può nascere, cosa non possa, per quale legge, infine, ogni cosa ha un potere limitato ed un limite infisso profondamente. Perciò la religione, gettata sotto i piedi, a sua volta è schiacciata, la vittoria ( invece ) ci rende simili al cielo.

 

Testo Originale

    ergo uiuida uis animi peruicit, et extra                         72
processit longe flammantia moenia mundi
atque omne immensum peragrauit mente animoque,
unde refert nobis uictor quid possit oriri,
quid nequeat, finita potestas denique cuique
quanam sit ratione atque alte terminus haerens.
quare religio pedibus subiecta uicissim
obteritur, nos exaequat uictoria caelo.                             79