Tito Livio

 

Orazi e dei Curiazi prendono le armi

( Ab urbe condita I, 25 )

Concluso il fatto, così come si era convenuto, i tre gemelli prendono le armi. Mentre i loro li esortavano da entrambe le parti, ( dicendo ) che gli dei patrii, la patria e i genitori, i cittadini in patria ed in armi avevano allora gli occhi rivolti alle loro armi ed alle loro mani, fieri per loro propria  natura e confortati dalle voci di chi li esortava, avanzano in mezzo alle due schiere. I due eserciti avevano preso posto da entrambe le parti davanti al proprio accampamento, liberi più dal presente pericolo che dall’ansia; certamente era in discussione un potere posto nel valore e nella fortuna di così pochi. Così dunque in piedi e pieni di ansia rivolgono l’attenzione ad uno spettacolo per niente gradito.

Testo originale

 XXV. Foedere icto trigemini, sicut conuenerat, arma capiunt. Cum sui utrosque adhortarentur, deos patrios, patriam ac parentes, quidquid ciuium domi, quidquid in exercitu sit, illorum tunc arma, illorum intueri manus, feroces et suopte ingenio et pleni adhortantium uocibus in medium inter duas acies procedunt. Consederant utrimque pro castris duo exercitus, periculi magis praesentis quam curae expertes; quippe imperium agebatur in tam paucorum uirtute atque fortuna positum. Itaque ergo erecti suspensique in minime gratum spectaculum animo intenduntur.

 

 

Le prime fasi del duello

( Ab urbe condita I, 25 )

Viene dato il segnale, e con le minacciose armi a tre per parte i giovani, come schiere, con l’ordine dei grandi eserciti, si slanciano. Né a questi né a quelli si presenta all’animo il proprio pericolo, ma il potere pubblico e la pubblica schiavitù e la sorte futura della patria sarebbe stata quella che essi stessi avevano fatto. Grande orrore prende i presenti, non appena, al primo assalto, le armi risuonarono e brillarono le spade scintillanti, e, poiché la speranza non piegava da nessuna parte, le voci ed il respiro erano paralizzati. Venuti alle mani, quando ormai si vedevano non soltanto i movimenti dei corpi ed il reciproco balenare di dardi e scudi, ma anche le ferite ed il sangue, dopo aver ferito i tre Albani, due Romani morendo caddero l’uno sull'altro. Quando l’esercito degli Albani esultò di gioia per la loro caduta, ormai ogni speranza, ma non ancora la preoccupazione, avevano abbandonato le legioni romane, sbigottite per la sorte di quel solo che i tre Curiazi avevano circondato. 

Testo originale

Datur signum infestisque armis uelut acies terni iuuenes magnorum exercituum animos gerentes concurrunt. Nec his nec illis peri culum suum, publicum imperium seruitiumque obuersatur animo futuraque ea deinde patriae fortuna quam ipsi fecissent. Vt primo statim concursu increpuere arma micantesque fulsere gladii, horror ingens spectantes perstringit et neutro inclinata spe torpebat uox spiritusque. Consertis deinde manibus cum iam non motus tantum corporum agitatioque anceps telorum armorumque sed uolnera quoque et sanguis spectaculo essent, duo Romani super alium alius, uolneratis tribus Albanis, exespirantes corruerunt. Ad quorum casum cum conclamasset gaudio Albanus exercitus, Romanas legiones iam spes tota, nondum tamen cura deseruerat, exanimes uicem unius quem tres Curiatii circumsteterant.

 

 

L'Orazio superstite elimina due Curiazi

( Ab urbe condita I, 25 )

Per caso costui era incolume, e come da solo non era in grado di combattere contro tutti, così tuttavia era abbastanza forte da combattere contro ciascuno. Quindi cercò di fuggire per poterli combattere separatamente, pensando che l’avrebbero inseguito, come a ciascuno lo consentiva il corpo ferito. Si era ormai allontanato di un certo tratto dal luogo dove si era combattuto, quand’ecco che, guardando indietro, vede che gli inseguitori sono a grandi distanza tra loro; uno non era molto distante da lui. Tornò verso quest’ultimo caricandolo, e mentre l’esercito albano esorta i Curiazi a portare aiuto al fratello, ormai l’Orazio, ucciso il nemico, vincitore si dirigeva verso il secondo combattimento. Allora i Romani esortano il loro soldato con le urla tipiche dei sostenitori all’improvviso. Ed egli si affretta a porre fine al combattimento. Prima dunque che il terzo, che non era molto lontano, potesse raggiungerlo, uccide anche il secondo Curiazio; ormai ad armi pari uno per parte era rimasto, ma non erano pari speranze e forze. 

Testo originale

Forte is integer fuit, ut uniuersis solus nequaquam par, sic aduersus singulos ferox. Ergo ut segregaret pugnam eorum capessit fugam, ita ratus secuturos ut quemque uolnere adfectum corpus sineret. Iam aliquantum spatii ex eo loco ubi pugnatum est aufugerat, cum respiciens uidet magnis interuallis sequentes, unum haud procul ab sese abesse. In eum magno impetu rediit; et dum Albanus exercitus inclamat Curiatiis uti opem ferant fratri, iam Horatius caeso hoste uictor secundam pugnam petebat. Tunc clamore qualis ex insperato fauentium solet romani adiuuant militem suum; et ille defungi proelio festinat. Prius itaque quam alter - nec procul aberat - consequi posset, et alterum Curiatium conficit; iamque aequato Marte singuli supererant, sed nec spe nec uiribus pares.

 

 

La fine del duello

( Ab urbe condita I, 25 )

Il corpo senza ferite e la duplice vittoria rendevano il Romano sicuro per il terzo combattimento; l’altro, trascinando il corpo stanco per la ferita e per la corsa e avvilito dalla strage dei fratelli ( morti ) prima di lui, si abbandona al nemico vincitore. E quello non fu un combattimento. Il Romano, esultante, disse: “Due li ho offerti ai Mani dei miei fratelli; il terzo lo darò alla causa di questa guerra, perché i Romani governino sugli Albani”. Conficca la spada nella gola dell’altro, che sostiene a stento le armi. Lo spoglia una volta morto a terra. I Romani esultanti e congratulandosi accolgono l’Orazio con gioia tanto maggiore quanto più la situazione era stata disperata. Si accingono alla sepoltura dei propri morti con animi ben diversi, perché gli uni erano cresciuti in potere, gli altri erano divenuti soggetti al dominio straniero. I sepolcri esistono ancora, proprio dove ciascuno è caduto, due romani in un luogo vicino ad Alba, tre albani nelle vicinanze di Roma, ma distanti tra loro, come appunto si combatté.

 

Testo originale

 Alterum intactum ferro corpus et geminata uictoria ferocem in certamen tertium dabat: alter fessum uolnere, fessum cursu trahens corpus uictusque fratrum ante se strage uictori obicitur hosti. Nec illud proelium fuit. Romanus exsultans "Duos" inquit "fratrum manibus dedi; tertium causae belli huiusce, ut Romanus Albano imperet, dabo". Male siustinenti arma gladium superne iugulo defigit, iacentem spoliat. Romani ouantes ac gratulantes Horantium accipiunt, eo maiore cum gaudio, quo prope metum res fuerat. Ad sepulturam inde suorum nequaquam patribus animis uertuntur, quippe imperio alteri aucti, alteri dicionis alienae facti. Sepulcra exstant quo quisque loco cecidit, duo Romana uno loco propius Albam, tria Albana Romam uersus sed distantia locis ut et pugnatum est.

 

Una vendetta crudele  

( Ab urbe condita I, 26 2 - 5  )

L’Orazio se ne andava davanti a tutti, portando in mostra davanti a sé le spoglie appartenenti ai tre gemelli; e la sua giovane sorella, che era stata promessa sposa ad uno dai Curiazi , gli venne incontro davanti alla porta Capena e, riconosciuto il mantello del fidanzato – che aveva fatto lei stessa – sopra le spalle del fratello, si sciolse i capelli e piangendo chiama per nome il fidanzato morto. Il pianto della sorella, nel momento della vittoria e di una così grande felicità pubblica, suscita l’ira del fiero giovane. Impugnata dunque la spada, maledicendola nello stesso momento a parole, trafigge la ragazza. “Vattene ora da qui con il tuo inopportuno amore, dimentica dei fratelli morti e di quello vivo, dimentica della patria – disse – e così se ne vada qualunque donna romana piangerà per un nemico!”. L’azione sembrò atroce ai senatori ed alla plebe, ma il merito recente rendeva meno orribile l’accaduto. Tuttavia fu condotto in giudizio davanti al re.

 

Testo originale

 Princeps Horatius ibat, trigemina spolia prae se gerent; cui soror uirgo, quae desponsa uni ex Curiatiis fuerat, obuia ante portam Capenam fuit, cognitoque super umeros fratris paludamento sponsi quod ipsa confecerat, soluit crines et flebiliter nomine sponsum mortuum appellat. Mouet feroci iuueni animum comploratio sororis in uictoria sua tantoque gaudio publico. Stricto itaque gladio simul uerbis increpans transfigit puellam. "Abi hinc cum immaturo amore ad sponsum," inquit, "oblita fratrum mortuorum uiuique, oblita patriae. Sic eat quaecumque Romana lugebit hostem." Atrox uisum id facinus patribus plebique, sed recens meritum facto obstabat. Tamen raptus in ius ad regem.