Cesare

De bello Gallico

 

La rocca di Alesia ( De b. Gall. VII, 69 )

La città vera e propria di Alesia si trovava sulla cima di un colle, in un luogo assai elevato, tanto che non sembrava che potesse essere espugnata senza un assedio. Inoltre due fiumi scorrevano da due parti presso le pendici di quel colle. Davanti a quella rocca si estendeva una piana di circa 3 miglia di lunghezza. A poca distanza su ogni altro lato alcuni colli di pari altezza circondavano la cittadella fortificata. Sotto le mura, le truppe dei Galli avevano riempito tutto quel luogo, dalla parte che guarda ad oriente, ed avevano fabbricato un muro a secco alto 2 metri. Il perimetro della fortificazione costruita dai Romani occupava 15 miglia. L’accampamento era stato dislocato in luoghi adatti, e vi erano state edificate 23 postazioni fortificate; ed in mezzo a queste rocche erano costruiti posti di guardia, perché non potesse avvenire qualche sortita improvvisa. Questi stessi erano presidiati di notte da sentinelle e forti guarnigioni.

Testo originale

LXIX. Ipsum erat oppidum Alesia, in colle summo admodum edito loco, ut nisi obsidione expugnari non posse uideretur. Cuius collis radices duo duabus ex partibus flumina subluebant. Ante id oppidum planities circiter milia passuum III in longitudinem patebat; reliquis ex omnibus partibus colles mediocri interiecto spatio pari altitudinis fastigio oppidum cingebant. Sub muro quae pars collis ad orientem solem spectabant, hunc omnem locum copiae Gallorum compleuerant fossamque et maceriam in altitudinem VI pedum praeduxerant. Eius munitionis quae ab Romanis instituebatur circuitus X milia passuum tenebat. Castra opportunis locis erant posita ibique castella XXIII facta; quibus in castellis interdiu stationes ponebantur, ne qua subito eruptio fieret: haec eadem noctu excubitoribus ac firmis praesidiis tenebantur.

 

Uno scontro di cavalleria si conclude in un massacro ( De b. Gall. VII, 70 )

Iniziato l’assedio, scoppia una battaglia di cavalleria nella pianura che prima abbiamo detto estendersi tra i colli per tre miglia in lunghezza. Si combatte con violenza spaventosa da entrambi i fronti. Cesare manda in aiuto ai nostri che sono in difficoltà i Germani e dispone le legioni davanti all’accampamento, perché non sia possibile alcuna sortita improvvisa da parte della cavalleria dei nemici. Aggiuntosi l’aiuto delle legioni, l’animo dei nostri si solleva: i nemici, gettatisi in fuga, si intralciano l’un l’altro da soli per il gran numero e, abbandonate uscite troppo anguste, finiscono per pigiarsi. I Germani con foga maggiore li inseguono fino alle fortificazioni. Avviene una grande strage: alcuni, abbandonati i propri cavalli, tentano di passare il fossato e di scavalcare il muro a secco. Cesare ordina alle legioni che aveva schierato davanti alle mura di avanzare un po’. I Galli che erano all’interno delle fortificazioni erano terrorizzati: dal momento che credevano che fosse una manovra di attacco improvvisa contro di loro, chiamano alle armi. Alcuni, terrorizzati, irrompono nella cittadella fortificata. Vercingetorige ordina di chiudere le porte, per non lasciare sguarnito l’accampamento. Dopo averne massacrati molti ed aver catturato moltissimi cavalli, i Germani si ritirano.

Testo originale

LXX. Opere instituto fit equestre proelium in ea planitie quam intermissam collibus tria milia passuum in longitudinem patere supra demonstrauimus. Summa ui ad utrisque contenditur. Laborantibus nostris Caesar Germanos submittit legionesque pro castris constituit, ne qua subito inruptio ab hostibus peditatu fiat. Praesidio legionum addito nostris animus augetur: hostes in fugam coniecti se ipsi multitudine inpediunt atque angustioribus portis relictis coartatur. Germani acrius usque ad munitiones sequuntur. Fit magna caedes: non nulli relictis equis fossam transire et maceriam transcendere conatur. Paulum legiones Caesar quas pro uallo constituerat remoueri iubet. Non minus qui intra munitiones erant perturbantur Galli: ueniri ad se confestim existimantes ad arma conclamant: non nulli perterriti in oppidum inrumpunt. Vercingetorix iubet portas claudi, ne castra nudentur. Multis interfectis, conpluribus equis captis Germani sese recipiunt.

 

La costruzione delle fortificazioni dell'accampamento ( De b. Gall. VII, 72 )

Ed una volta venuto a conoscenza di questi fatti, per mezzo di disertori e prigionieri, Cesare ordinò questi tipi di fortificazione. Fece scavare un fossato di 20 piedi con pareti diritte, in modo tale che il fondo di quel fossato fosse tanto largo quanto erano distanti tra di loro le estremità del fossato stesso. Arretrò tutte le rimanenti fortificazioni di 400 piedi dal fossato suddetto, e lo fece per la seguente ragione, perché aveva abbracciato per necessità uno spazio così vasto e l’intera opera di difesa non poteva essere facilmente essere guarnita di un cordolo di soldati, affinché una massa di nemici non potesse raggiungere d’improvviso o di notte le fortificazioni, o perché non potessero scagliare talvolta dei dardi sui nostri mentre provvedevano alla difesa delle fortificazioni. Lasciato in mezzo questo spazio, fece scavare due fossati larghi 15 piedi e della medesima profondità; e riempì quello più interno d’acqua fatta arrivare modificandone il corso da un fiume, attraverso pianure ed avvallamenti. Dopo questi, costruì un terrapieno ed un muro di 12 piedi. A questo aggiunse un parapetto e dei merli, mentre grandi “cervi” sporgevano in corrispondenza delle connessioni dei parapetti e del terrapieno, con lo scopo di ritardare la scalata dei nemici, e circondò di torri – distanti fra di loro 80 piedi - tutta l’opera di fortificazione.

Testo originale

LXXII. Quibus rebus cognitis ex perfugis et captiuis Caesar haec genera munitionis instituit. Fossam pedum uiginti derectis lateribus duxit, ut eius fossae solum tantumque pateret quantum summae fossae labra distarent: reliquas omnes munitiones ab ea fossa pedes quadrigentos reduxit, id hoc consilio, quoniam tantum esset necessario spatium conplexus, nec facile totum opus corona militum cingerentur, ne de inprouiso aut noctu ad munitiones hostium multitudo aduolaret, aut interdiu tela in nostros operi destinatos coicere possent. Hoc intermisso spatio duas fossas quindecim pedes latas eadem altitudine perduxit: quarum interiorem campestribus ac emissis locis aqua ex flumine deriuata compleuit. Post eas aggerem ac uallum XII pedum extruxit. Huic loricam pinnasque adiecit, grandibus ceruis eminentibus ad commissuras pluteorum atque aggeris, qui ascensum hostium tardarent, et pluteorum atque aggeris, qui ascensum hostium tardarent, et turres toto opere circumdedit, quae pedes LXXX inter se distarent.

Ulteriori aggiunte alle fortificazioni (  De b. Gall. VII, 73 )

Era necessario al medesimo tempo procurarsi materiale da costruzione, mietere il frumento e provvedere che fossero costruite numerose opere di fortificazione, benché le nostre truppe, che avanzavano sempre più lontano dall’accampamento, fossero diminuite. In aggiunta, non di rado i Galli provavano ad assalire le nostre opere di fortificazione e fare sortite dalla cittadella fortificata da più porte con estrema violenza. Per questo motivo Cesare ritenne di dover aggiungere ancora qualcosa a queste fortificazioni, perché potessero essere difese da un minor numero di soldati. Quindi, dopo aver fatto tagliare tronchi d’albero con rami estremamente robusti e scortecciatene ed aguzzatene le cime, venivano scavate fosse continue profonde 5 piedi. Lì quei bastoni, infissi nel terreno e legati in basso perché non potessero essere rimossi, sporgevano dalla parte dei rami. Ce n’erano 5 file, collegati ed intrecciati tra loro. E coloro che vi erano entrati si infilzavano da soli nelle punte estremamente acuminate. Li chiamavano “cippi”.

Testo originale

LXXIII. Erat eodem tempore et materiari et frumentari et tantas munitiones fieri necesse deminutis nostris copiis, quae longius ab castris progrediebantur; ac non numquam opera nostra Galli temptare atque eruptione ex oppido pluribus portis summa ui facere conabantur. Quare ad haec rursus opera addendum Caesar putauit, quo minore numero militum munitiones defendi possent. Itaque trucis arborum [aut] admodum firmis ramis abscisis atque horum delibratis ac praeacutis cacuminibus perpetuae fossae quinos pedes altae ducebantur. Huc illi stipites demissi et ab infimo reuincti, ne reuelli possent, ab ramis eminebant. Quini erant ordines, coniuncti inter se atque inplicati; quo qui intrauerant se ipsi acutissimis uallis induebant. Hos cippos appellabant.