Apuleio,

Metamorfosi

 

Lucio accede ai Misteri (Metamorfosi XI,10)

Allora scorrono simili ad un fiume folle iniziate ai misteri divini, uomini e donne di ogni condizione ed età, splendenti per il candore puro della veste di lino, quelle avvolte di un velo sottile nei capelli madidi, questi coi capelli completamente rasati, con il capo lucente, astri terreni della grande religione, che facevano un acuto tintinnio con sistri di bronzo e d'argento, anzi perfino d'oro, e quei sommi sacerdoti dei riti religiosi che, ricoperti strettamente da una candida veste di lino al cinto del petto fino ai piedi, portavano innanzi gli ornamenti insigni dei potentissimi dei. Ed il primo di questi il primo tendeva una lucerna che splendeva di chiara luce, per niente simile a quelle nostre che illuminano il banchetto serale, ma un vasetto d'oro a forma di barca che faceva uscire dalla sua apertura centrale una fiamma più grande. Il secondo, simile per veste, portava però con entrambe le mani un altare, cioè un mezzo di salvezza cui diede il nome proprio la provvidenza salvifica della dea potente. Andava per terzo uno che innalzava una palma rivestita sottilmente da foglie d'oro, ed anche un caduceo di Mercurio. Il quarto mostrava, segno di giustizia, la mano sinistra deforme con la palma stesa, che sembrava più adatta della destra per equità in quanto dotata di naturale lentezza, nessuna scaltrezza e nessuna abilità. Lo stesso portava anche vasetto, rotondo come una mammella, dal quale libava latte. Il quinto portava un vaglio d'oro pieno di ramoscelli d'alloro e l'altro portava un'anfora.

Testo originale

Tunc influunt turbae sacris diuinis initiatae, uiri feminaeque omnis dignitatis et omnis aetatis, linteae uestis candore puro luminosi, illae limpido tegmine crines madidos obuolutae, hi capillum derasi funditus uerticem praenitentes, magnae religionis terrena sidera, aereis et argenteis immo uero aureis etiam sistris argutum tinnitum constrepentes, et antistites sacrorum proceres illi, qui candido linteamine cinctum pectoralem adusque uestigia strictim iniecti potentissimorum deum proferebant insignis exuuias. Quorum primus lucernam claro praemicantem porrigebat lumine non adeo nostris illis consimilem, quae uespertinas illuminant epulas, sed aureum cymbium medio sui patore flammulam suscitans largiorem. Secundus uestitum quidem similis, sed manibus ambabus gerebat altaria, id est auxilia, quibus nomen dedit proprium deae summatis auxiliaris prouidentia. Ibat tertius attollens palmam auro subtiliter foliatam nec non Mercuriale etiam caduceum. Quartus aequitatis ostendebat indicium deformatam manum sinistram porrecta palmula, quae genuina pigritia, nulla calliditate nulla sollertia praedita, uidebatur aequitati magis aptior quam dextera; idem gerebat et aureum uasculum in modum papillae rutundatum, de quo lacte libabat. Quintus auream uannum aureis congestam ramulis, sextus ferebat amphoram.

 

Davanti ad Anubi (Metamorfosi XI,11)

Non ci fu indugio, quando appaiono dei che si degnavano di procedere con piedi umani, allora  ( incede ) quel terribile messaggero degli dei Superni ed Inferi, a testa alta, in parte nera ed in parte d'oro, sollevando il collo altero di cane, Anubi, portando il caduceo con la mano sinistra, con la destra scuotendo una palma verdeggiante. Seguiva da vicino i passi di quest'ultimo una mucca, levata in posizione eretta, una mucca, simbolo fecondo della dea madre di tutte le cose, che uno dei beati ministri del culto portava posato sulle sue spalle, maestoso nel suo incedere. Era portata da un altro una cassa capace dei segreti, che celava all'interno gli arcani della magnifica religione. Un altro portava sul suo grembo felice, in alto, la veneranda effigie della divinità, non di bestia, non di uccello, non di fiera, né simile allo stesso uomo, ma di ingegnosa invenzione da riverire anche per la sua stessa singolarità, in un certo modo più elevata, e da tenersi celata in grande riservatezza, indizio ineffabile della religione, ma precisamente raffigurata d'oro splendente in questo modo: una piccola urna fabbricata molto artisticamente, dal fondo ben tondo, all'esterno effigiata di molti simulacri degli Egiziani; la sua apertura sporgeva non molto in alto allungata a forma di canale con un lungo becco. Ma dall'altra parte, che sporgeva molto all'indietro, con una curva ampia stava attaccato un manico, su cui stava con le spire contorte un aspide ritto con la gonfiatura striata del collo squamoso.

Testo originale

Nec mora, cum dei dignati pedibus humanis incedere prodeunt; hic horrendus ille superum commeator et inferum, nunc atra, nunc aurea facie sublimis, attollens canis ceruices arduas, Anubis, laeua caduceum gerens, dextera palmam uirentem quotiens. Huius uestigium continuum sequebatur bos in erectum leuata statum, bos, omniparentis deae fecundum simulacrum, quod residens umeris suis proferebat unus e ministerio beato gressu gestuosus. Ferebatur ab alio cista secretorum capax penitus celans operta magnificae religionis. Gerebat alius felici suo gremio summi numinis uenerandam effigiem, non pecoris, non auis, non ferae ac ne hominis quidem ipsius consimilem, sed sollerti repertu etiam ipsa nouitate reuerendam, altioris utcumque et magno silentio tegendae religionis argumentum ineffabile, sed ad istum plane modum fulgente auro figuratum: urnula faberrime cauata, fundo quam rutundo, miris extrinsecus simulacris Aegyptiorum effigiata; eius orificium non altiuscule leuatum in canalem porrectum longo riuulo prominebat, ex alia uero parte multum recedens spatiosa dilatione adhaerebat ansa, quam contorto nodulo supersedebat aspis squameae ceruicis striato tumore sublimis.

 

La promessa di una corona di rose (Metamorfosi XI,12)

Ed ecco che si avvicinano a noi le promesse della dea davvero benigna ed il sacerdote si avvicina portando benefici, predizioni e persino la mia salvezza, proprio come la prescrizione della promessa divina, recando nella destra un sistro ornato per la dea, per me una corona - e per Ercole una corona di conseguenza, perché dopo aver sofferto tali e così numerosi travagli, dopo aver attraversato tanti pericoli, per la provvidenza della dea suprema superavo il Fato che molto crudelmente mi si opponeva. E non tuttavia spinto da una gioia improvvisa inclemente mi slanciai di corsa, temendo ovviamente che per lo slancio improvviso di un quadrupede l'ordine quieto del rito sacro venisse sconvolto, ma con calma ed in modo del tutto umano, come esitando, piegato il corpo di poco, mentre il popolo si scostava certamente per valore divino, piano piano avanzo.

Testo originale

Et ecce praesentissimi numinis promissa nobis accedunt beneficia et fata salutemque ipsam meam gerens sacerdos adpropinquat, ad ipsum praescriptum diuinae promissionis ornatum dextera proferens sistrum deae, mihi coronam/et hercules coronam consequenter, quod tot ac tantis exanclatis laboribus, tot emensis periculis deae maximae prouidentia adluctantem mihi saeuissime Fortunam superarem. Nec tamen gaudio subitario commotus inclementi me cursu proripui, uerens scilicet ne repentino quadripedis impetu religionis quietus turbaretur ordo, sed placido ac prorsus humano gradu cunctabundus paulatim obliquato corpore, sane diuinitus decedente populo, sensim inrepo.

 

Di nuovo uomo (Metamorfosi XI,13)

Ed il sacerdote, come in realtà ho potuto sapere, avvertito dall'oracolo notturno e meravigliatosi della coincidenza dell'incarico assegnatogli, subito si fermò e, stesa inoltre la destra, davanti alla bocca mostrò proprio a me la corona. Allora io trepidante, col cuore che mi batteva a colpi precipitosi, divorai la corona, che brillava intessuta di rose piacevoli, afferratala con la bocca avida, bramoso di ciò che mi era stato promesso. Immediatamente mi abbandonò la faccia ferina e deforme. Ma innanzitutto il pelo ruvido mi cade e successivamente la pelle spessa si assottiglia, la pancia obesa si restringe, le piante dei piedi attraverso le unghie si trasformano in dita, le mani non sono più piedi e si stendono per funzioni erette, il collo lungo rientra, la bocca e la testa si arrotondano, le orecchie enormi riprendono la piccolezza di prima, i denti simili a sassi ritornano alla piccolezza umana e quella che soprattutto prima mi dava pensieri - la coda - non compare più. La gente si meraviglia, i religiosi venerano una potenza così palese della suprema divinità e, simile alle visioni notturne, la magnificenza e la facilità della metamorfosi, e a voce chiara ed all'unisono, tendendo le mani al cielo, testimoniano un così glorioso beneficio della dea.

Testo originale

At sacerdos, ut reapse cognoscere potui, nocturni commonefactus oraculi miratusque congruentiam mandati muneris, confestim restitit et ultro porrecta dextera ob os ipsum meum coronam exhibuit. Tunc ego trepidans, adsiduo pulsu micanti corde, coronam, quae rosis amoenis intexta fulgurabat, auido ore susceptam cupidus promissi deuoraui. Nec me fefellit caeleste promissum: protinus mihi delabitur deformis et ferina facies. Ac primo quidem squalens pilus defluit, ac dehinc cutis crassa tenuatur, uenter obesus residet, pedum plantae per ungulas in digitos exeunt, manus non iam pedes sunt, sed in erecta porriguntur officia, ceruix procera cohibetur, os et caput rutundatur, aures enormes repetunt pristinam paruitatem, dentes saxei redeunt ad humanam minutiem, et, quae me potissimum cruciabat ante, cauda nusquam! Populi mirantur, religiosi uenerantur tam euidentem maximi numinis potentiam et consimilem nocturnis imaginibus magnificentiam et facilitatem reformationis claraque et consona uoce, caelo manus adtendentes, testantur tam inlustre deae beneficium.