Apuleio

 

Metam. IX,17

Arete e Filesitero ( 1 )

“Ecco – disse dunque la vecchia – conosci per intero la storia di Arete e Filesitero ?”. “No davvero, ma desidero proprio conoscerla, e ti prego, madre, raccontamela per filo e per segno”. E senza aspettare un attimo quella anziana chiacchierona così iniziò.

Questo Barbaro, poiché si doveva preparare ad una partenza necessaria e si sforzava in ogni modo di mantenere intatta la virtù della sua cara moglie, avverte in segreto il suo servo Mirmece, di risaputa lealtà, e lo incarica di prendersi ogni cura della sua padrona, minacciando di punirlo con l’ergastolo o – ancora peggio – con un’infame morte violenta, se un uomo l’avesse sfiorata anche solo con un dito; perciò il servo promette giurando anche su tutti gli dei. Dunque, lasciando Mirmece scosso dalla tremenda paura come protettore della moglie, parte senza preoccupazioni. Allora con preoccupazione il preoccupatissimo Mirmece non lasciava mai uscire la sua padrona e le sedeva accanto senza perderla di vista un attimo mentre procedeva infaticabile al lavoro della lana in casa e standole attaccato e legato mentre compiva la necessaria uscita per l bagno serale, tenendo con la mano i lembi del vestito, e manteneva con ammirevole scaltrezza la fiducia dell’incarico assegnatogli.

 

Testo originale

"Ergo" inquit anus "nostri totam Philesitheri et ipsius fabulam?" "Minime gentium," inquit "sed nosse ualde cupio et oro, ordine mihi singula retexe." Nec commorata illa sermocinatrix immodica sic anus incipit: "Barbarus iste cum necessariam profectionem pararet pudicitamque carae coniugit conseruare summa diligentia cuperet, seruulum suum Myrmecem fidelitate praecipua cognitum secreto commonet suaque dominae custodelam omnem permittit, carcerem et perpetua iuncula, mortem denique illam lentam de fame comminatur, si quisquam hominum uel in transitu digito tenus eam contigisset, idque deierans etiam confirmat per omnia diuina numina. Ergo igitur summo paucore perculsum Myrmecem acerrimum reliquiens uxori secutorem securam dirigit profectionem. Tunc obstinato animo uehementer anxius Myrmex nec usquam dominam suam progedi sinebat et lanificio domestico districtam inseparabilis adsidebat ac tantum necessario uesperini lauacri progressu adfuxus atque conglutinatus, extremas manu prendes lacinias, mira sagacitate commissae prouinciae fidem tuebatur.

 

Metam. IX, 18

Arete e Filesitero ( 2 )

18 Ma la bellezza della matrona non potè rimanere nascosta alla stretta sorveglianza di Filesitero. E spinto ed infiammato d’ardore proprio da questa famosa castità e dall’eccessività del singolare incarico, preparato a fare qualunque cosa, a sopportare di tutto, si accinge con tutte le sue forze a cambiare il rigido modo di vivere domestico, sicuro della fragilità della fiducia umana, di come tutte le difficoltà si risolvano col denaro e di come anche le porte dure come l’acciaio siano solite essere sbriciolate dall’oro, e tratto opportunamente in disparte Mirmece gli rivela il suo amore, lo prega supplichevole di porre un freno al suo tormento; infatti si approssimava per lui una morte certa, a meno che non fosse riuscito ad impossessarsi dell’oggetto dei sui desideri in fretta; né il servo doveva avere alcun timore per una cosa così semplice, dato che era in grado di strisciare da solo protetto e coperto dalle tenebre e tornare dopo un momento. Con questi modi e con queste parole suadenti aggiungeva un valido cuneo che spezzasse violentemente l’incrollabile ostinazione del servo; allungata infatti la mano, gli mostra monete d’oro lucenti nuove di zecca, delle quali 20 erano destinate alla donna; ma gliene avrebbe offerti volentieri però 10.

 

Testo originale

XVIII. Sed ardentem Philesitheri uigilantiam matronae nobilis pulchritudo latere non potuit. Atque hac ipsa potissimum famosa castitate et insignis tutelae nimietate instictus atque inflammatus, quiduis facere, quiduis pati paratus, ad expugnandam tenacem domus disciplinam totis accingitur uiribus, certusque fragilitatis humanae fidei et quod pecuniae cunctae sint difficultates peruiae auroque soleant adamantinae etiam perfringi fores, opportune nanctus Myrmecis solitatem, ei amorem suum aperit et supplex eum medellam cruciatui deprecatur: nam sibi staatutam decretamque mortem proximae, ni maturis cupido potiatur; nec eum tamen quicquam in re facili formidare debere, quippe cum uespera solus fide tenebrarum contectus atque absconditus introrepere et intra momentum temporis remeare posset, his et huiusce modi suadelis ualidum addens ad (postremum) cuneum, qui rigentem prorsus serui tenacitatem uiolenter diffinderet; porrecta enim manu sua demonstrat et nouitate nimia cadentes solidos aureos, quorum uiginti quidem puellae destinasset, ipsi uero decem libertem offeret.

 

Metam. IX, 19

Arete e Filesitero ( 3 )

19 Mirmece inorridì di quell’impresa inaudita e, tappatesi le orecchie, scappò via subito. Tuttavia non gli riuscì di dimenticare il bagliore fiammeggiante dell'oro, ma, pur allontanatosi il più possibile ed entrato in casa a passo spedito, tuttavia vedeva quelle splendide monete lucenti, si immaginava già di stringere in pugno il ricco bottino, il poverino era disperato e portato ad avere diversi pensieri dall’agitazione mentale e dalla confusione di idee; una volta la lealtà, un’altra il guadagno, una volta le torture, un’altra ancora i piaceri. Alla fine, tuttavia, l’oro ebbe la meglio sulla paura di morire. Ed il desiderio del bel denaro non diminuiva nemmeno col passare del tempo, anzi l’avidità rovinosa gli aveva causato preoccupazioni anche di notte, tanto che, sebbene lo trattenessero in casa le minacce del padrone, tuttavia l’oro lo spingeva ad uscirne. Allora, messo da parte ogni ritegno, riferisce il messaggio affidatogli alla signora. E quest’ultima non venne meno alla tipica leggerezza femminile, anzi vende la sua virtù per quel maledetto denaro. Così Mirmece pieno di gioia corre a gettare in un precipizio la sua lealtà, desiderando non solo ricevere, ma anche toccare con la propria mano quel denaro che per sua disgrazia aveva osservato, e tutto contento annuncia a Filesitero che il suo desiderio, grazie ai suoi sforzi, è andato a buon fine, e subito esige il premio che gli era stato promesso. E la mano di Mirmece, che prima di allora non aveva conosciuto nemmeno quelle di bronzo, stringe le monete d’oro.

 

Testo originale

XIX. Exhorruit Myrmex inauditum facium et occulusis auribus effugit protinus. Nec auri tamen plendor flammeu oculos ipsius potuit, sed quam procul semotus et domum celeri gradu peruectus, uidebat tamen decora illa monetae lumina et opulentam praedam iam tenebat animo miroque mentis salo et cogitationum dissentione misellus in diuersas sententias carpebatur ac distrahebatur: illic fides, hic lucrum, illic cruciatus, hic uoluptas. Ad postremum tamen formidinem mortis uicit aurum. Nec saltem spatio cupido formonsae pecuniae leniabatur, sed nocturnas etiam curas inuaserat pestilens auaritia, ut quamuis erilis eum comminatio domi cohiberet, aurum tamen foras euocaret. Tunc, deuorato pudore et dimota cunctatione, sic ad aures dominae mandatum perfert. Nec a genuina leuitate desciuit mulier, sed execrando metallo pudicitiam suam protinus auctorata est. Ita gaudio perfusus aduolat ad suae fidei praecipitium Myemex, non modo capere uerum saltem contigere quam exitio suo uiderat pecuniam cupiens, et magnis suis laboribus perfectum desiderium Philesithero laetata percitus nuntiat statimque destinatum praemium reposcit, et tenet nummos aureos manus Myrmecis, quae nec aereos norat.


 

Metam. IX, 20

Arete e Filesitero ( 4 )

20 E, dunque, a notte inoltrata lo conduce da solo alla casa e introduce l’irriducibile amante fino alla camera da letto della padrona coperto bene sul volto. Stavano appunto facendo sacrifici ad Amore novello con i primi abbracci e stavano facendo il primo servizio militare come nudi soldati per Venere, quand'ecco che – a differenza di come tutti credevano – il marito inaspettato, scelta l’occasione della notte, si ripresenta alla porta di casa sua. Ora bussa, ora grida a gran voce, ora colpisce la porta con un sasso e, insospettendosi sempre di più per quel ritardo, minaccia di terribili punizioni Mirmece. Ma quest’ultimo, sconvolto dal guaio improvviso, ridotto nell’impossibilità di decidersi a causa della tremenda agitazione – non poteva fare altro – dava la colpa al fatto l’oscurità della notte gli impediva di trovare la chiave che era stata nascosta con cura. Nel frattempo Filesitero, avvertito il rumore, subito rivestitosi, ma senza infilare la scarpe per lo sconvolgimento, si lancia fuori dalla camera da letto. Allora Mirmece, fatti infine scattare con la chiave i chiavistelli, spalanca le porte e accoglie il padrone che ancora invocava il nome di tutti gli dei e, mentre egli si precipita nella camera da letto, allontana Filesitero facendolo uscire di nascosto e, messolo in libertà davanti alla soglia, sicuro di sé, chiusa la porta di casa, torna a dormire.

 

Testo originale

XX. Itamque nocte promota solum perducit ad domum probeque capita contectum amatorem strenuum inferit adusque dominae cubiculum. Commodum nouis amplexibus Amore rudi litabant, commodum prima stipendia Veneri militabant nudi milites: et contra omnium opinionem captata noctis opportunitate inprouius maritus adsistit suae domus ianuam. Iam pulsat, iam clamat, iam saxo fores uerberat et ipsa tarditate magis migisque suspectus dira comminatur Myrmeci supplicia. At ille repentino malo perturbatur et misera trepidatione ad inopiam consilii dedectus, quod solum poterat, nocturnas, tenebras sibi causabatur obsistere quin claudem curiose absconditam repperiret. Interdum Philesitherus cognito strepitu raptim tunicam iniectus sed plane prae turbatione pedibus intectis procurrit cubiculo. Tunc Myrmex tandem claude pessulis subiecta repandit fores et recepit etiam tunc fidem deum boantem dominum eoque propere cubiculum petente clandestino stranscursu dimittit Philesitherum. Quo iam pro limite liberato securum sui clausa domo rursum se reddidit quieti.

 

Metam. IX, 21

Arete e Filesitero ( 5 )

21 Ma mentre all’alba Barbaro esce dalla camera da letto, vede sotto al letto dei sandali mai visti prima, coi quali Filesitero si era introdotto di soppiatto nella stanza, e, pur comprendendo cos’era accaduto data la situazione, afferratili e nascosti in grembo, senza rivelare alcun risentimento alla moglie né ad alcuno dei familiari, dopo aver ordinato che solo Mirmece venisse portato in piazza in catene dai suoi compagni schiavi, vi si dirige a passo rapido ripetendo fra sé in silenzio espressioni di stizza, sicuro che, grazie alla prova dei sandali, avrebbe facilmente potuto prendere l’adultero.

Ma ecco mentre Barbaro attraverso la folla col volto rosso e le sopracciglia aggrottate avanza irato e dietro di lui viene trascinato Mirmece tutto incatenato, non colto in flagrante, ma tuttavia versando lacrime copiose e movendo a compassione inutilmente tutti scosso dalla sua cattiva coscienza, Filesitero, che passava di lì quasi a farlo apposta, benchè fosse diretto a tutt’altre faccende, colpito ma non spaventato da quella scena improvvisa, ripensando allo sbaglio che la sua fretta gli aveva fatto commettere e comprendendone intelligentemente tutte le logiche conseguenze, fatti da parte gli schiavi, si getta urlando su Mirmece riempiendolo di pugni in volto: “ehi tu, pendaglio da forca ! – disse – il tuo padrone e tutti gli dei che tu scomodi inappropriatamente con i tuoi falsi giuramenti ti diano la giusta punizione per i tuoi meriti, tu che ieri ai bagni mi hai rubato i sandali! Sei ben degno, per Ercole, di logorare queste catene che porti e per giunta di sopportare l’oscurità del carcere”. Barbaro, tratto in inganno ed anzi sollevato dalla trovata quanto mai opportuna del risoluto giovane, credendogli in pieno, tornato a casa e fatto chiamare Mirmece, gli restituì i sandali e lo perdonò di buon cuore, e lo consigliò di restituire al legittimo possessore a cui li aveva sottratti.    

 

Testo originale

XXI. Sed dum prima luce Barbarus procedit cubiculo, uidet subo lectulo soleas incognitas, quibus indictus Philesitherus inrepserat, suspectisque e re nata quae gesta sunt, non uxori non ulli familiarum cordolio patefacto, sublatis iis et in sinum furtim absconditis, iusso tantum Myrmece per conseruos uincto forum uersus adtrahi, tacitos secum mugitus iterant rapidum dirigit grassum, certum solearum indicio uestigium adulteri posse se perfacile indispici. Sed ecce perplateam dum Barbarum uultu turgido subductisque superciliis incedit iratus ac pone eum Myrmex uinculis obrutus, non quidem coram noxae prehensus, coscientia tamen pessima permixtus lacrimis uberibus ac postremis lamentationibus inefficacem commouet miserationem, opportune Philesitherus occurrens, quanquam diuerso quodam negotio destinatus, repentina tamen facie permotus, non enim deterritus, recolens festinationis suae delictum et cetera consequenter suspicatus sagaciter extemplo sumpta familiari costantia, dimotis inuadit cum summo clamore Myrmecem pugnisque malas eius clementer obtundens: "At te," inquit "nequissimum et periorum caput, dominus iste tuus et cuncta caeli numina, quae deierando temere deuocasti, pessimum pessime perduit, qui de balneis soleas hesterna die mihi furatus es: dignus hercules, dignus, qui et ista uincula conterat et insuper carceris etiam tenebras perferas." Hac opportuna fallacia uigurati iuuenis inductus immo sublatus et ad credulitatem delapsus Barbarus, postliminio domum regressus, uocato Myrmece, soleas illas offerens et ignouit ex animo et, uti domino redderet, cui surripuerat, suasit."