Tito Maccio Plauto

Truculentus

Recensione e commento

    Del grande commediografo latino Plauto (255 c.a. - 184 a.C.) circolavano, al tempo di Varrone, più di 130 commedie, 90 delle quali già ritenute spurie dagli storici di quel periodo . Nel gruppo delle 40, poi, solo 21 vennero considerate plautine a tutti gli effetti e quindi ricopiate nei codici e conservate fino ai giorni nostri per la maggior parte in forma quasi completa mentre le rimanenti 19, sulle quali molti studiosi latini nutrivano dubbi, sono andate, col tempo, perdute ed oggi ce ne rimangono solo esigui frammenti, grazie alle citazioni di altri autori . Il  “Truculentus” apparteneva alle prime 21 e per questo ha avuto il privilegio di potersi salvare dall’oblio medievale ; l’opera è una  fabula palliata, ovvero una commedia di ambientazione greca .

    Per la messa in scena di questa commedia sono state sfruttate maschere riprodotte ad imitazione di un vasto numero di originali in terracotta splendidamente conservati, ospitati al museo di Lipari : l’utilizzo di questo espediente ha permesso non solo che i quattro bravissimi attori interpretassero ben dodici ruoli, ma anche - come era nelle intenzioni dei commediografi antichi - che il pubblico comprendesse subito quale personaggio l’attore stesse interpretando e, non da ultimo, che la voce venisse amplificata in modo naturale proprio dalla maschera stessa (come testimonia l’interpretazione etimologica che collega il termine “persona” = maschera  a “per - sonare” = risuonare).

    Notevole è il tentativo di riprodurre lo spirito plautino di  “non immedesimazione” degli  attori nei loro personaggi : i quattro interpreti non solo dovevano ricoprire più di un ruolo per ciascuno, ma sovente anche scambiarseli a  vicenda, scomparendo e poi apparendo, mutati costumi e maschera, in punti diversi della scena .

    L’ambientazione della commedia, benché la scenografia del teatro al chiuso possa risultare quasi fastidiosa per una compagnia (INDA- Istituto Nazionale del Dramma Antico) abituata ai vasti spazi aperti dei  teatri originali della Magna Grecia, è fedele al modello plautino . Un elaborato fondale rivela che la commedia si svolge ad Atene : era infatti prassi comune per i commediografi latini spostare l’intera evoluzione della trama “all’estero”, in Grecia, in modo da permettere al pubblico di ridere dei difetti e dei vizi dei personaggi senza incorrere nel rischio, nel caso la commedia fosse ambientata a Roma, di ridere di se stessi. Nonostante tutto, però, Plauto amava creare un effetto di sorpresa nei suoi spettatori, inserendo nel testo espliciti riferimenti al mondo romano : il copione di questa rappresentazione, fedele all’originale, riporta in modo vistoso una di queste “strizzatine d’occhio” del commediografo, quando il vecchio Callicle viene esortato dal soldato Stratofane a svolgere per lui il ruolo di “praetor”,  figura logicamente sconosciuta al mondo greco .

    La trama di questa commedia - lavoro della tarda maturità plautina - risulta piuttosto complessa e sembra privilegiare, rispetto alla comicità immediata delle battute, quella più raffinata che deriva proprio dall’ intricato evolversi  della vicenda.

    Il titolo, Truculentus, si riferisce al nome di un servo che ha solo un ruolo marginale : questo “nome parlante”, che in latino  significava “zoticone, violento” - da cui poi in italiano “truculento”, si riferisce al carattere di questo personaggio, dapprima misogino ed infine sedotto suo malgrado sedotto dalla serva Astafio.

    Gli altri personaggi, tutti corrispondenti ad un tipo umano, sono: Diniarco, l’adulescens, cioè il giovane di città ;

    Stratofane, il soldato spaccone e Strabace, il contadino padrone di Truculentus. Tutti e tre sono perdutamente innamorati di Fronesio, una cortigiana ateniese. Minore importanza hanno Ciamo, il servo di Diniarco, la pettinatrice di Fronesio, varie altre figure di servi, il vecchio Callicle, mentre non può essere dimenticata Astafio, la scaltrissima serva personale di Fronesio.

    I tre uomini, Strabace, Stratofane e Diniarco, si aggirano davanti all’abitazione di Fronesio, che è sempre pronta ad accogliere i suoi spasimanti, purché le portino grandi compensi in denaro : in apertura di scena è proprio Diniarco, il giovane di città, a lamentarsi del fatto che, appena conosciuta  Fronesio, poteva  godere  dei suoi favori in esclusiva, grazie ai suoi poderi, ora invece, dopo aver speso tutto in regali, si ritrova soppiantato dal più ricco Stratofane. Diniarco viene a sapere che  Fronesio sta tramando un inganno a danno di costui , con l’aiuto della sua degna serva Astafio : procuratasi di nascosto un neonato, ella aveva finto di averlo partorito, per far così credere a Stratofane di esserne il padre e dunque legarlo a sé . Diniarco, dopo aver parlato a lungo con Astafio, ma deluso di non aver potuto chiarire la sua posizione con Fronesio, che si stava facendo un bagno, lascia la scena. Appena egli si è allontanato, ecco comparire Fronesio, che spiega al pubblico, rompendo “l’illusione scenica” , come imbroglierà il soldato ; non fa in tempo a terminare il suo discorso che irrompe sulla scena il borioso Stratofane, tutto pieno di sé perché convinto di essere il padre del bambino: Fronesio, però, lo tratta da ingrato e lo respinge in malo modo, perché, dopo i  travagli del parto, egli - almeno a suo dire - non le ha portato regali degni.

    Il soldato, che, uscito a sua volta di scena, si era in realtà nascosto lì vicino, assiste inorridito alla consegna di abbondanti regali a Fronesio da parte di Ciamo, accettati come pegno d’amore. Stratofane, dunque, ha un violento scontro verbale con Ciamo, durante il quale, benché sia armato di spada, è proprio il soldato ad avere più paura. Intanto torna dalla campagna Strabace, che, rubate venti mine al padre, porta la somma a Fronesio, di nascosto dal suo servo Truculentus, che odia le donne e gli sprechi del denaro di famiglia : persino Truculentus, però, alla fine della scena verrà astutamente sedotto da Astafio e fatto entrare nel “luogo della perdizione”, l’abitazione di Fronesio.

    Le menzogne, però, hanno vita breve ed il vecchio Callicle, dopo aver torturato a suon di frustate una sua ancella e la pettinatrice Sira, viene a conoscere la verità : sua figlia ha avuto un bambino da Diniarco, neonato che poi è stato di soppiatto affidato a Fronesio, perché lo spacciasse come suo. Diniarco si fa subito avanti, promettendo di sposare la ragazza sedotta e chiede a Fronesio di restituirgli il suo legittimo figlio. La donna, dopo aver costretto Stratofane a pagarle un’ingente somma di denaro per il mantenimento del neonato che egli crede ancora essere suo figlio,  prontamente restituisce il bambino a Diniarco, con una soluzione di  anagnwrisiv, riconoscimento, che accontenta tutti i personaggi :  Strabace è al primo posto nelle grazie della donna, in virtù dei suoi regali,  e Stratofane, mostratosi così generoso, conquista il secondo.

    Anche se l’opera mostra un gusto comico, nelle sue battute, forse troppo distante dal nostro per ottenere ancora l’effetto di irresistibile ilarità che Plauto sicuramente esercitava sul suo pubblico, questa messa in scena risulta ugualmente pregevole, proprio per il tentativo - riuscito perfettamente - di far rivivere un mondo che affrontava già, più di duemila anni fa, gli stessi argomenti sui quali ancora oggi basiamo gli spunti più divertenti del nostro teatro comico : è sufficiente ricordare che il fulcro del Truculentus è proprio questa donna disinibita, Fronesio, che, pur dalla sua bassa posizione sociale (cortigiana), tiene in pugno ben tre uomini, senza che nessuno di essi riesca mai a protestare efficacemente.

    La modernità di Plauto risiede proprio in questa amara ironia misogina che permea l’intera trama, ingenerando negli spettatori maschi una sorta di autocompiacimento per non essere così sciocchi da farsi ingannare da una donna e, viceversa,  nelle spettatrici l’orgoglio di appartenere allo scaltro genere femminile.

    Potrà, dunque, essersi affievolito l’effetto comico delle battute, ma non l’eterna freschezza del messaggio umano cui Plauto continuamente allude, “strizzando l’occhio” al suo pubblico.

Andrea  Zoia