Cicerone

 

Le lettere

    L’epistolario ciceroniano è costituito da un corpo di circa 900 lettere scritte tra il 68 e il 43 a.C., raccolte in 37 libri distribuiti nelle seguenti raccolte: 

    Il corpus, che comprende anche le risposte dei diversi corrispondenti, costituisce per noi un documento dal valore inestimabile per la ricostruzione delle vicende personali di Cicerone ed è al contempo un insostituibile documento storico, dal momento che accompagna o commenta i fatti politici più importanti di quell'epoca così travagliata, oppure ci ragguaglia su usi e costumi romani che altrimenti, dalle storie ufficiali, noi non conosceremmo affatto. La pubblicazione dell’epistolario - che il nostro scrittore avrebbe certamente voluto rimanesse privato - fu curata da amici e parenti, in particolare da Attico, Cornelio Nepote, Tirone, e dal figlio Marco Cicerone. La sua diffusione (il suo successo editoriale, diremmo noi) deve essere stata immediata, dato che Nepote parla dei sedici libri di lettere ad Attico. Conviene riportare la testimonianza di Nepote, anche perché in essa viene sottolineata l’enorme utilità del corpus per la conoscenza del periodo storico al quale si riferiscono le lettere. Prova dell’affetto profondo fra Cicerone e Attico - scrive Nepote nella sua biografia di Attico (16, 3-4) - sono 

sedecim (11?) volumina epistularum, ab consulatu eius usque ad extremum tempus ad Atticum missarum: quae qui legat, non multum desideret historiam contextam eorum temporum. Sic enim omnia de studiis principum, vitiis ducum, mutationibus rei publicae perscripta sunt, ut nihil in eis non appareat et facile existimari possit, prudentiam quodam modo esse divinationem, “sedici (11?) volumi di lettere inviategli, dal tempo del suo consolato fino agli ultimissimi tempi: chi le legge, non sentirà molto il bisogno di una storia organica di quei tempi. 4. Passioni dei capi, vizi dei capitani, rivolgimenti dello Stato, sono stati così accuratamente narrati che nulla in esse è rimasto nascosto e si può facilmente ritenere che la saggezza sia una sorta di divinazione". 

    Gli argomenti variano dal pubblico al privato, ma quest’ultimo caso è il più frequente e, tutto sommato, il più interessante, visto che offre un’immagine completamente autentica dell’uomo Cicerone, dell’amico leale, del marito premuroso e del padre affettuoso, specialmente nei confronti della figlia prediletta Tulliola. Cicerone - come rimarcato in precedenza - non aveva affatto scritto le sue lettere con l’intenzione di pubblicarle (così invece come era stato ad esempio per le sue orazioni), fatto che le rende di un’immediatezza senza confronti rispetto ad altre raccolte dell’antichità e quindi di un estremo interesse per noi, interesse ben diverso da quello che provò il Petrarca quando la prima volta posò gli occhi sul codice da lui scoperto nella Biblioteca Capitolare di Verona, nel 1345, esclamando: “Vecchio Cicerone, eternamente tormentato e preoccupato, quanto meglio sarebbe stato per te occuparti non di questa breve vita terrena ma della vita eterna, senza brigare per gli uffici, per i trionfi, senza sacrificare la pace per nessun Catilina di questo mondo!”. A sua volta il moderno critico J. Carcopino ha utilizzato l'epistolario per disegnarci un impietoso ritratto di Cicerone, colto nelle sue debolezze private e pubbliche. 

    Dal punto di vista della lingua e dello stile l’epistolario ciceroniano mostra aspetti di estremo interesse. L'espressione è semplice e chiara, vicina ai modi del parlato, spesso ricca di allusioni ironiche e persino di facezie, soprattutto varia, conformata allo stato d'animo del momento, all'occasione. Così avviene che il lessico è molto più vario, la sintassi più articolata (se il destinatario è personaggio di rango e fornito di cultura, lo stile può attingere i livelli di quello oratorio), le forme paratattiche più frequenti che non siano nelle opere di impegno ove è perseguita con scrupolo e rigore la norma della concinnitas  (eleganza), le parole e le locuzioni greche, quando il destinatario è dotto o non v'è corrispondente nella lingua latina, sono adoperate senza la preoccupazione di doverle spiegare e giustificare. Se nel Brutus e, soprattutto, nel De oratore. Cicerone si lamenta della crisi che nel suo tempo sta soffrendo la pura latinità; se nelle opere filosofiche e nelle orazioni evita le espressioni scorrette o semplicemente sgradevoli all'orecchio e persegue l’urbanitas contro la rusticitas dell'eloquio, nelle lettere, specie in quelle dirette agli amici e ai familiari, mutua le forme della conversazione.

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